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 2019  novembre 29 Venerdì calendario

Intervista a Lula

Ha detto per anni che non si sarebbe mai ritirato dalla politica. Ed eccolo qui a 74 anni, dopo due mandati come presidente, un cancro e 580 giorni di carcere per corruzione, il settimo figlio di una coppia di contadini analfabeti, il ragazzo che dovette lasciare la scuola anche se andava bene, il metallurgico diventato leader sindacale a forza di scioperi durante la dittatura, il presidente della Repubblica che ha fatto uscire milioni di cittadini da una condizione di povertà. Lula da Silva illustra i suoi piani per il futuro in una delle prime interviste dopo la scarcerazione decisa dalla Corte suprema. Venti giorni dopo essere tornato in libertà, ci riceve nella sede del Partido dos Trabalhadores (Pt) a San Paolo. Qualche ora dopo, un tribunale ha confermato la sua seconda condanna aumentando la pena da 12 a 17 anni.
Dopo essere uscito di prigione, c’è qualcosa che l’abbia sorpresa particolarmente?
«Nulla di particolare. Ciò che più mi spaventa è rendermi conto che il governo di Bolsonaro è peggio della visione che ne avevo quando ero in prigione».
Il governo di Jair Bolsonaro è preoccupato che le manifestazioni della regione si diffondano in Brasile. E in questo contesto, il ministro dell’Economia ha evocato un decreto della dittatura. Ritiene che questo governo sia una minaccia per la democrazia?
«Penso che in questo governo vi siano persone che non capiscono bene che cosa sia la democrazia. Non è un patto di silenzio. È una società in movimento che cerca di consolidare le sue conquiste sociali e migliorare la vita dei cittadini. Ma loro non la intendono così, perché Bolsonaro non valorizza la democrazia, né i suoi figli, né il suo partito. Hanno parlato varie volte di chiudere la Corte Suprema, il Congresso, di ripristinare l’AI5 (il decreto che diede inizio alla peggiore repressione della dittatura, ndr ). Questo dimostra che per loro la democrazia non è fondamentale. Per loro, è un ostacolo al governo, mentre io credo che il Brasile abbia bisogno di più democrazia, di più mobilitazione, perché questo garantisce il consolidamento delle istituzioni».
L’America Latina è molto agitata. Perché, secondo lei, non ci sono proteste in Brasile?
«Perché Bolsonaro è stato eletto presidente di recente. E nel primo anno, la gente si aspetta che accadano cose buone, ma ciò che sta accadendo è che la disoccupazione peggiora, calano le entrate... Molta gente vive con pochi soldi e il governo non parla di una politica di sviluppo. Questo crea insoddisfazione, ci saranno manifestazioni. Il governo deve capire che questo fa parte della democrazia».
Qual è la sua strategia?
«In primo luogo, continuare la battaglia politica per dimostrare la mia innocenza. Devo dimostrare che tutti i processi contro di me sono fasulli, invenzioni, sia dei media che della Procura e del giudice Sergio Moro (che lo ha condannato e ora è ministro della Giustizia, ndr ). In secondo luogo, aiutare il Partido dos Trabalhadores a prepararsi per le elezioni municipali del 2020 e le presidenziali del 2022».
Questo aiuto prevede anche un sollecito alla sinistra perché scenda in piazza?
«Vede, il compito di un ex presidente della Repubblica non è quello di agitare la società contro chi vince le elezioni, ma quello di dimostrare alla società che solo con molta democrazia, con la distribuzione del reddito, la creazione di posti di lavoro si creano le condizioni per la crescita.
Ma per la sinistra, la piazza è un obbligo in qualsiasi Paese».
È arrivato alla presidenza e ha avuto successo come conciliatore.
Perché ha scelto di essere più combattivo?
«Devi governare per tutti, anche se preferisci prenderti cura dei più bisognosi. Ora devo fare opposizione, mostrare alla gente gli sbagli dell’attuale governo, che non ha ancora detto una parola sullo sviluppo. Stanno solo smantellando il patrimonio pubblico».
Moro è il politico più popolare del Brasile e lei uno dei più odiati. Spera che annullino le due condanne e le tolgano l’interdizione?
«In primo luogo, Moro è il giudice più bugiardo del Paese. Ha costruito la sua immagine in un patto con la stampa brasiliana. Il mio obbligo morale è quello di dimostrare che questa gente che potrebbe contribuire nel combattere la corruzione sono quasi una banda di una parte della magistratura che usa l’operazione Lava Jato con obiettivi politici».
Ha paura di tornare in prigione?
«No, se c’è qualcosa che non mi spaventa sono le cause giudiziarie».
Ma può succedere.
«Sarei potuto fuggire all’estero, potevo chiedere asilo a un’ambasciata per non andare in prigione. Ho deciso di costituirmi per dimostrare che sia il giudice Moro che il procuratore Dallagnol hanno mentito al Paese sulla mia condanna, sono convinto della mia innocenza.
Sono in Brasile e ci rimarrò».
Se riuscirà a far annullare le sue condanne, si candiderà di nuovo come presidente?
«Preferirei non farlo perché ormai ho 74 anni. Nel 2022, ne avrò 77. Non è opportuno. Ora, sono in buona salute, pronto. L’unica ipotesi per candidarmi è che ci sia un disastro politico, che non ci sia nessun candidato e ci sia bisogno di qualcuno che affronti questi pazzi che governano il Brasile. Allora mi metterei a disposizione».
Rispetto a ciò che questo governo fa e dice, che cosa la preoccupa di più?
«La mancanza di attenzione nei confronti delle questioni sociali. Non si preoccupa dei disoccupati, dei senzatetto, dell’ambiente, del petrolio che raggiunge le spiagge. La società brasiliana ha bisogno di libri e di posti di lavoro, Bolsonaro vuole dargli armi».
Qual è la sua ricetta per l’America Latina, con ciò che sta accadendo in Colombia, Cile, Bolivia?
«È necessario che l’America Latina viva più a lungo in democrazia, in modo da poter costruire istituzioni solide. Un Paese non va da nessuna parte con un colpo di stato ogni 10 o 15 anni. Ciò che è appena accaduto in Bolivia non è possibile. Evo Morales era riuscito ad essere il presidente più longevo, con la più alta crescita della regione e il miglior trasferimento delle risorse. Perché il colpo di Stato? Penso che il modello migliore sia quello del Brasile. Sei presidente, puoi avere una rielezione e basta. L’alternanza è importante.
Sono stato il primo operaio arrivato alla presidenza. E Morales, il primo indio in Bolivia. Ora, l’élite qui non sa vivere in democrazia se non è al potere, il che è deplorevole».
Molte persone che hanno votato per lei, ora la odiano. Sono deluse per la corruzione del Pt. Non si aspettavano questo da voi. Che cosa gli direbbe?
«Guardando la televisione, ci si rende conto che per più di quattro anni ogni giorno, così come sui principali quotidiani, mi hanno venduto come fossi un corrotto».
Lei ha nove processi aperti più due condanne.
«Ci possono essere 20 processi.
Quello che si giudica è il mandato di Lula».
— © El País/Lena, Leading European Newspaper Alliance Traduzione di Luis E. Moriones f