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 2019  novembre 29 Venerdì calendario

La vera storia della battaglia delle Midway

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Questa settimana è uscito al cinema Midway, un film di guerra diretto dal regista di Independence Day, Roland Emmerich. Il film racconta la storia di una delle battaglie più importanti della Seconda guerra mondiale, quella combattuta al largo dell’atollo di Midway, nel Pacifico centrale, e che segnò la fine del periodo di vittorie giapponesi e l’inizio della riscossa statunitense. Se non temete gli spoiler storici (o se avete già visto il film) ecco la vera storia di quella battaglia.

La Battaglia delle Midway iniziò il 4 giugno, a sette mesi esatti da quando erano iniziate le ostilità tra il Giappone e gli Stati Uniti con i loro alleati. Come è noto, la guerra cominciò con l’attacco a sorpresa contro la base navale statunitense di Pearl Harbour, nelle Hawaii. L’attacco affondò o danneggiò moltissime navi, ma risparmiò le portaerei e non rese completamente inutilizzabile la base (due fattori che si riveleranno decisivi a Midway).

Dopo Pearl Harbour, la marina e l’esercito giapponese lanciarono una serie di attacchi a sorpresa in tutto il Pacifico ottenendo una serie di vittorie. Occuparono l’Indocina fino al confine con l’India, la Malesia con la città-fortezza britannica di Singapore, le isole Filippine (all’epoca gestite come un protettorato coloniale dagli Stati Uniti), il Borneo e la Nuova Guinea. Nel frattempo affondarono la squadra navale britannica che il primo ministro Winston Churchill aveva inviato in Asia per contrastarli, e ridussero male una flotta statunitense nel corso della Battaglia del Mar dei Coralli.

Sotto questa serie apparentemente inesauribile di successi, però, la situazione del Giappone si stava facendo sempre più grave. Il paese era povero e arretrato, se paragonato con i suoi nemici, e i suoi leader sapevano benissimo che nel lungo periodo non avrebbero mai potuto far fronte alla potenza industriale degli Stati Uniti e dell’Impero britannico (e mentre gestivano contemporaneamente un costoso conflitto in Cina). Se la guerra fosse durata a lungo, presto o tardi, il Giappone sarebbe stato schiacciato. L’unica speranza di vittoria, dal loro punto di vista, risiedeva nell’assestare rapidamente un colpo così formidabile agli Stati Uniti da costringerli trattare la pace.

Il colpo da KO, però, nei primi sei mesi di guerra gli era sfuggito. L’alto comando giapponese decise così di tentare un azzardo: avrebbe inviato la flotta ad attaccare l’atollo di Midway, una sperduta isola nel mezzo del Pacifico che rappresentava l’ultima difesa prima delle Hawaii. L’attacco, era la speranza dei giapponesi, avrebbe attirato le portaerei statunitensi fuori da Pearl Harbour e avrebbe permesso alla flotta giapponese, superiore di numero, di distruggerle. A quel punto non solo le Hawaii ma l’intera costa occidentale degli Stati Uniti si sarebbe trovata potenzialmente indifesa, e una pace negoziata sarebbe stata alla loro portata.

L’attacco a Midway era in sostanza un tentativo disperato di forzare una grande battaglia risolutiva e, come spesso accade in queste circostanze, finì con l’essere pianificato male e su premesse irrealistiche. Secondo le più recenti ricerche storiche, fu un tentativo condannato a fallire sin dal suo inizio. Il problema più grave era che gli statunitensi potevano leggere gran parte delle comunicazioni cifrate giapponesi e così, mentre la flotta imperiale si avvicinava a Midway convinta di attirare gli statunitense, in realtà si stava a sua volta infilando in una trappola, in cui tre portaerei statunitensi, più tutti gli aerei concentrati nella base di Midway, erano in attesa e pronti a colpire.

La flotta giapponese lanciò la prima ondata di aerei contro la base di Midway all’alba del 4 giugno. La base fu pesantemente danneggiata e i caccia di guardia quasi tutti abbattuti, ma la pista di decollo rimase operativa. Mentre gli aerei giapponesi tornavano indietro per rifornirsi, i capi squadrone comunicarono che sarebbe stato necessario un secondo attacco per neutralizzare le difese dell’isola e permettere l’invasione delle truppe di terra. Il comandante giapponese, che aveva tenuto di riserva metà dei suoi aerei per qualsiasi evenienza, ordinò di prepararsi ad attaccare l’isola una seconda volta e di armare gli aerei di riserva con bombe a contatto per uso contro bersagli terrestri.

Fino a quel momento, la flotta statunitense e quella giapponese avevano giocato a mosca cieca: nessuno sapeva dove si trovava l’altro (e i giapponesi non sapevano nemmeno che una flotta statunitense si aggirava intorno all’atollo). Intorno alle 5.30 di mattina un aereo da ricognizione statunitense avvistò le portaerei giapponesi e comunicò la loro posizione alla base. I primi ad attaccare furono gli aerei statunitensi di base a Midway, che decollarono poco prima che i cieli dell’isola venissero coperti da nugoli di aerei giapponesi. Questo primo attacco, compiuto da aerei vecchi che viaggiarono fino al limite della loro autonomia, fu un disastro, così come furono inefficaci quasi tutti gli altri attacchi lanciati dall’isola in quella giornata.

La posizione della flotta giapponese però era stata svelata e la flotta statunitense, ancora nascosta agli occhi giapponesi, avrebbe avuto l’opportunità di colpire per prima. Tra le 7 e le 9 di mattina, tre portaerei statunitensi lanciarono in tutto circa un centinaio di aerei. Nel frattempo, intorno alle 8, l’ammiraglio giapponese ricevette la notizia che un suo aereo da ricognizione aveva avvistato la flotta statunitense. Immediatamente ordinò di riarmare gli aerei con bombe e siluri anti-nave, ma l’operazione richiese molto più tempo del previsto. Le squadre di tecnici giapponesi dovettero contemporaneamente gestire il ritorno della prima ondata di aerei che aveva attaccato Midway, occuparsi dei caccia che stavano difendendo la flotta dagli attacchi provenienti dall’isola, armare la seconda ondata, fermarsi a metà del lavoro quando arrivò l’ordine di riarmarli con bombe anti-nave e siluri, e quindi ricominciare dall’inizio.

Il risultato fu che quando gli aerei statunitensi arrivano in vista della flotta giapponese, i ponti di volo delle portaerei erano ingombri di materiale esplosivo o infiammabile: velivoli, carburante, bombe e altri armamenti. L’attacco statunitense fu devastante e in particolare furono micidiali i bombardieri da picchiata che colpirono i ponti di volo ingombri di materiale, incendiandoli. In pochi minuti, tre delle quattro portaerei furono avvolte dalle fiamme e furono abbandonate da chi era ancora in grado di scappare.

Questa fu la fase culminante della battaglia. In un colpo solo gli statunitensi avevano distrutto il meglio della flotta giapponese, senza perdere nemmeno una nave. Nel pomeriggio il gioco della mosca cieca proseguì, con le navi statunitensi a caccia dell’ultima portaerei giapponese, la Hiryu, e quest’ultima impegnata in un disperato tentativo di restituire i colpi subiti. Alla fine i suoi aerei riuscirono ad affondare una delle tre portaerei statunitensi, la Yorktown, ma quasi nello stesso momento la Hiryu venne individuata per l’ultima volta e affondata.

La battaglia delle Midway si concluse così con la distruzione della parte migliore della flotta aeronavale giapponese. Nonostante le due portaerei che non erano state impiegate nell’attacco, le più grandi e moderne della flotta, fossero rimaste operative, i giapponesi avevano perso moltissimi aerei e soprattutto moltissimi insostituibili ed esperti piloti. La flotta giapponese fu costretta a rinunciare ad ogni nuova offensiva e a lasciare l’iniziativa agli alleati che, lentamente, iniziarono a erodere le enormi conquiste giapponesi realizzate nei primi mesi di guerra. La flotta giapponese impiegò quasi due anni a riparare le perdite inflitte a Midway e la sua flotta uscì al completo dai porti per dare battaglia agli statunitensi soltanto nel giugno del 1944. Ma a quel punto la superiorità tecnologica e industriale statunitense era oramai impossibile da contrastare. Per il resto della guerra la flotta giapponese avrebbe subito soltanto sconfitte.