il Giornale, 29 novembre 2019
La globalizzazione medievale
Il presente è spesso una lente deformante. A esempio se parliamo dell’oggi la parola che più sembra descriverlo è globalizzazione. Un fenomeno politico, ma soprattutto sociale ed economico che sembra esserci piombato all’improvviso sulla testa. Ma è davvero così? Noi siamo di fronte, certo, a una accelerazione impressionante, però di globalizzazioni ce ne sono state tante. E la nostra è figlia della prima grande globalizzazione medievale.
Qualche esempio. Prendiamolo dal libro appena uscito dello storico Paolo Grillo, L’Europa e la globalizzazione medievale (Mondadori, pagg. 281, euro 22). I vichinghi avevano sicuramente raggiunto le coste del Nord America, abbiamo trovato i loro insediamenti. La loro era un’espansione portata avanti per dare la caccia alle zanne di tricheco, all’epoca principale fonte d’avorio per l’Europa e non solo. Insomma un villaggio vichingo costruito a Terranova o in Groenlandia, esisteva perché poteva far finire avorio sino a Costantinopoli. Poi trac. Tra il XII e il XIII secolo qualcosa cambiò di colpo. Tra il fiume Zambesi e il Lipompo nacque il regno di Mapungubwe. Fece dell’esportazione di zanne di elefanti un business. I mercanti arabi si misero a fare felicemente da tramite. Da loro, la merce passò in mano ai genovesi che avevano appena messo a punto come le altre città marinare italiane, la galea grossa, adattissima a portare le grosse zanne in ogni dove. Risultato? Il crollo economico degli insediamenti vichinghi in Groenlandia e di conseguenza dei loro avamposti per la pesca al tricheco in America.
Quindi quando qualcuno pensa di fermare gli effetti economici della globalizzazione è meglio che torni indietro di qualche secolo... Senza contare che un primo fondamentale passaggio globalizzante, un vero ponte tra oriente e occidente, era stato portato avanti, a fil di spada dagli arabi. Per accorgersene vengono utili due altri volumi di storia appena pubblicati: Le grandi conquiste arabe (Iduna) di John Bagot Glubb (1897-1986) e Il mondo islamico. Una storia per oggetti (Einaudi).
Il primo scritto da quello che è passato alla storia come Glubb pascià, ovvero il generale britannico che comandò la legione transgiordana tra il 1939 e il 1956, mette bene l’accento su quanto l’espansione araba sia stata un fenomeno velocissimo, capace di unire un mondo prima spezzato in due tra Impero bizantino e Impero persiano tra il 622 e il 750 dopo Cristo. Gli arabi sulla spinta di una missione religiosa crearono un enorme ponte tra Oriente e Occidente.
Un ponte globalizzante e ben poco arabo come scriveva Glubb già nel 1963: «Le prime e più drammatiche conquiste furono effettuate unicamente da arabi appartenenti a tribù nomadi. Poi poco alla volta, l’impero si sbarazzò di loro. Alcuni, stabilitisi nei territori conquistati, si erano sposati con razze diverse, amalgamandosi e disperdendosi; altri, rimasti nomadi nell’Arabia centrale, avevano finito per restare tagliati fuori dai centri di attività di quell’impero da loro stessi creato». Tanto che la storia delle conquiste arabe non è stata scritta da arabi. Nasceva così un mondo islamico che per secoli fu tutt’altro che integralista o univoco e in cui i globalizzatori armati erano stati la prima vittima culturale della globalizzazione.
E per rendersi conto della portata di questo fenomeno, niente di meglio che esaminare l’enorme quantitativo di cultura materiale generata dal mondo islamico ed è in questo che risulta utilissima la succitata Storia per oggetti. Dalla lavorazione dei metalli alle mattonelle ikhanidi decorate a lustro agli scacchi: i territori (e i mercanti) islamici si trasformarono in una centrale di produzione e di smistamento di beni di ogni tipo. Molti dei quali oggi farebbero rizzare i peli della barba ai seguaci di un moderno radicalismo islamico d’accatto che i grandi poeti sufi, come il molto scettico al-Ghazali, avrebbero preso a pernacchie.
Vi sembra tutto già abbastanza globale? Beh se leggete le pagine dedicata da Paolo Gillo all’espansione mongola vi risulterà evidente come Gengis Khan e i suoi eredi abbiano portato al culmine congiungendo tutta l’Asia quella globalizzazione. E fu un tremendo choc. Basta leggere i resoconti d’epoca di Maestro Ruggero e intitolati Carmen miserabile o Storia dei Mongoli di frate Giovanni da Pian del Carmine. Si era aperta quella porta globale che seppero sfruttare mercanti come Marco Polo. Questa globalizzazione ante litteram si chiuse poi a metà del XIV secolo a causa di una serie di crisi e guerre. E ci volle un bel po’ per riaprirla. Ed è anche questa una lezione della storia che dovremmo ricordare.