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 2019  novembre 28 Giovedì calendario

La crisi del commercio mondiale

Nella conversazione di economisti, politici e businessmen, da qualche tempo ha preso spazio una paura: saremmo entrati in una fase di de-globalizzazione. L’Occidente – corre la teoria – è stanco del mondo senza frontiere e reagisce con protezionismo e nazionalismo economico. La guerra commerciale, tecnologica e politica tra Stati Uniti e Cina è il segno più manifesto della nuova fase. In effetti, i segni del fenomeno ci sono e da tempo. Secondo il Cpb World Trade Monitor, un’organizzazione che analizza l’andamento del commercio, in settembre gli scambi globali sono diminuiti dell’1,3% rispetto al mese precedente e dell’1,1% in un anno. Il commercio internazionale è stato una delle forze potenti della globalizzazione dei decenni scorsi e ha trascinato la crescita dell’economia globale: è dal giugno scorso che diminuisce rispetto allo stesso periodo del 2018. La guerra delle tariffe incrociate che vede opporsi Donald Trump e Xi Jinping è il cuore di questo rallentamento: l’import americano è sceso del 2,1% in settembre rispetto ad agosto e quello cinese del 6,9%. Ma Washington e Pechino non sono i soli responsabili del rallentamento. La Wto (Organizzazione mondiale del Commercio) ha comunicato lo scorso 21 novembre che i Paesi del G20 hanno preso misure restrittive agli scambi di merci per 460,4 miliardi di dollari tra metà maggio e metà ottobre 2019, un aumento del 37% rispetto al periodo metà ottobre 2018-metà maggio 2019. In questa cornice di conflitti commerciali, il timore è che avvenga il cosiddetto decoupling, cioè che la compenetrazione economica e tecnologica tra il mondo legato agli Stati Uniti e quello legato alla Cina si spezzi, creando due sistemi paralleli e poco comunicanti. Per ora, la certezza è che la mappa dell’economia è in trasformazione. Ad esempio, una serie di investimenti finora destinati alla Cina si stanno spostando in altre aree dell’Asia, soprattutto in alcuni dei dieci Paesi dell’Asean, l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico. Si tratta di un gruppo di Stati che assieme hanno un Pil di tremila miliardi di dollari, crescono in media del 5% l’anno e contano cinque delle loro economie (Indonesia, Vietnam, Malaysia, Filippine, Thailandia) tra le venti che contribuiscono maggiormente alla crescita globale.