Corriere della Sera, 28 novembre 2019
Le cadute in politica estera
C’è un’evidente coerenza fra l’orientamento illiberale degli odierni movimenti neo-nazionalisti (detti sovranisti) europei e le loro scelte di politica internazionale. C’è coerenza fra i loro ideali di società e il modo in cui immaginano di organizzare i rapporti fra i rispettivi Paesi e il mondo esterno. Nulla di nuovo. Anche se è stupido e antistorico paragonare tali movimenti ai partiti totalitari del passato (fascisti e comunisti) c’è però un elemento comune, ossia l’avversione per il mondo occidentale in tutto ciò che esso ha di peculiare: la società aperta, il primato della libertà individuale garantito dalla legge, il libero mercato, la democrazia rappresentativa. Questi movimenti preferiscono intrattenere rapporti con le società chiuse, con le società autoritarie e illiberali, con le quali sanno di avere affinità. Essi pertanto mettono in discussione i tradizionali ancoraggi occidentali dei loro Paesi. Vale per tutti e a maggior ragione per l’Italia la quale di movimenti neo-nazionalisti di successo ne ha partoriti addirittura due (Lega e 5 Stelle).
In un precedente articolo (Corriere, 19 novembre) mi sono occupato della «dimensione internazionale» del leghismo nei suoi aspetti più preoccupanti: l’antieuropeismo, il filoputinismo. Se queste posizioni di Salvini non cambieranno e se egli, nonostante ciò, vincerà le prossime elezioni, il Paese si troverà nei guai: pagheremo care, economicamente e politicamente, tali scelte.
Però i 5 Stelle, quanto a pericolosità delle loro posizioni internazionali, non sono da meno. E poiché ora governano, rappresentano un problema più immediato. Sappiamo tutti che il governo Conte 2 si è formato perché i 5 Stelle, rivelando un notevole fiuto, rimodularono, nel nuovo Parlamento europeo, le loro posizioni: passarono dalla contestazione totale del passato al voto, convergente con quello dei partiti europeisti, sul presidente della Commissione. Per questo il Pd poté allearsi ai 5 Stelle, e gli altri governi europei si sentirono rassicurati dalla nascita del governo giallo-rosso. Però, quella rimodulazione della posizione dei 5 Stelle sull’Europa fu solo un’intelligente mossa tattica, non il ripudio di ciò che era stato fino a quel momento il grillismo e delle sue «ragioni sociali» (le ragioni per cui era sorto e aveva attirato tanti consensi). Come dimostrano, oltre a tante posizioni di politica interna (si pensi alla giustizia), anche certe sue posizioni internazionali. Forse tra gli errori che Zingaretti e Renzi hanno commesso c’è stato quello di lasciare ai grillini il ministero degli Esteri (non è vero che non potevano fare altro: i grillini erano terrorizzati all’idea del voto, avrebbero ceduto). Ma, evidentemente, il calcolo dei suddetti fu: mettiamo in salvo il rapporto con l’Europa e pazienza per tutto il resto. A parte il fatto che neppure il rapporto con l’Europa è in salvo (come dimostra l’asse Salvini-Di Maio contro il Mes, il Meccanismo europeo di stabilità), il «resto» porta a chiedersi che cosa stia diventando la politica estera italiana.
La settimana scorsa l’Italia, insieme a tutti gli altri Paesi europei, ha votato a favore di otto risoluzioni dell’Onu contro Israele. Gli europei erano in folta compagnia. Quelle risoluzioni sono state votate da 154 Paesi (solo 10, Stati Uniti in testa, hanno votato contro). Naturalmente, non c’è qui alcuna originalità grillina. L’Italia, come tutti gli altri Paesi europei, ha da tempo accettato di assecondare, in sede Onu, i desideri dei Paesi islamici quando si tratta di Israele. Ma è singolare che il tema non sia stato oggetto di attenzione in seno alla maggioranza di governo. Non è possibile che tanti parlamentari, ministri e sottosegretari del Partito democratico o renziani condividano tale scelta. Forse, non hanno fiatato perché è oggi imperativo non disturbare il manovratore. Oppure prendiamo il caso della Cina. Ciascuno sceglie, nel mazzo, l’autoritarismo che preferisce. Se la Lega ha scelto la Russia, i 5 Stelle hanno optato per la Cina. La via della seta e tutto il resto. E così il nostro ministro degli Esteri ha potuto platealmente disallineare l’Italia dagli altri Paesi occidentali sul problema della ribellione di Hong Kong. Questioni interne alla Cina, ha dichiarato il ministro, noi italiani non intendiamo interferire. Né, ovviamente, si intende interferire con il modo in cui gli iraniani affrontano rivolte e dissensi interni. Si tratti di Hong Kong o di Iran, tanto peggio per i diritti umani.
Da ultimo, cito il caso della Libia. Qui forse più che l’ideologia contano inesperienza e incapacità. Credo sia arduo per qualunque osservatore capire cosa stiamo davvero facendo in Libia. Sappiamo che ciò che accade in quel Paese è importantissimo per noi. Per gli interessi economici in gioco e per i forti rischi che dalla Libia possano partire ondate terroristiche verso il nostro Paese, oltre che verso il resto d’Europa. Non dalle opposizioni ma dall’interno della maggioranza di governo, per avere successo, dovrebbe partire una richiesta di discussione parlamentare sulla Libia. Tenuto conto del vitale interesse dell’Italia.
È un errato riflesso politicista attribuire ogni colpa di ciò che riteniamo negativo a questa o quella forza politica. I neo-nazionalisti fanno il loro mestiere. I problemi sono altri. In primo luogo, il fatto che sono tanti gli italiani che li votano. Confermando così che l’Italia è, come è sempre stata, una democrazia difficile, fortemente attratta da richiami illiberali. In secondo luogo, il fatto che coloro che hanno altre storie e altre identità, per lo più, non contrastano con sufficiente vigore le scelte dei neo-nazionalisti. Sembra il caso di Pd e renziani nell’attuale maggioranza di governo. Essi danno talvolta l’impressione di essere pronti ad accettare qualunque cosa pur di fare durare il governo più a lungo possibile. Per fortuna, qualche volta riescono a scuotersi dal torpore. Per iniziativa del Pd, ad esempio, la settimana prossima il Parlamento italiano