Il Sole 24 Ore, 28 novembre 2019
Le riforme dell’Arabia Saudita
Anche nel turbolento Medio Oriente vi sono Paesi che somigliano a isole di stabilità in mezzo ad un mare in tempesta. Gli Emirati Arabi Uniti appartengono a questo ristretto club. Questa Confederazione di 7 Emirati (Abu Dhabi, Dubai, Ajman, Fujairah, Ras al Khaimah, Sharjah, Umm al Quwain) ha compiuto negli ultimi 15 anni grandi passi in campo economico. Cosa piuttosto insolita da queste parti, è riuscita anche ad accompagnare la crescita con l’avvio di significative riforme democratiche.
Il percorso è ancora lungo, ma il processo di ampliamento della base elettorale del Federal National Council (Fnc), ovvero l’Assemblea “parlamentare” con funzioni consultive, è una realtà. Così come lo sono le sue numerose funzioni, tra cui una maggiore sensibilità verso i temi sociali ed il welfare. Certo si tratta sempre di una monarchia sunnita del Golfo. Che tuttavia ha cominciato ad avere una prima confidenza con le urne. Per quanto l’affluenza sia stata limitata (35%), le ultime elezioni politiche, dell’ottobre 2015, hanno comunque portato a risultati incoraggianti: la base elettorale è passata dai 6.500 elettori del 2006 ai 224mila del 2015. E, cosa impensabile nel vicino Qatar, o in Arabia Saudita, una donna è stata eletta come presidente dell’Fnc. Amal Al-Qubaisi sarà ricordata come la prima donna a capo di un’Assemblea nazionale in tutto il mondo arabo.
Ben inteso, gli Emirati non sono un paese neutrale come la Svizzera. Fanno parte di quel gruppo di monarchie sunnite che, guidate dall’Arabia Saudita, seguono una politica estera molto attiva, se non aggressiva. I cui due assi portanti sono una strategia di isolamento nei confronti del loro nemico numero uno, l’Iran, e degli Stati sospettati di appoggiarlo (vedi il Qatar). E un’avversione non meno accesa nei confronti del movimento dei Fratelli Musulmani e dei Governi che lo appoggiano (come Qatar e Turchia).
Gli Emirati sono dunque uno dei partner principali della coalizione militare araba guidata dall’Arabia Saudita che dall’aprile del 2015 sta combattendo in Yemen – in verità con risultati tutt’altro che apprezzabili – i ribelli sciiti Houti appoggiati dall’Iran. L’inimicizia verso Teheran si è vista bene quando, nel giugno del 2017, Riad e le monarchie sunnite, oltre all’Egitto, hanno decretato un embargo totale contro il piccolo emirato del Qatar, accusato di sostenere l’Iran. Gli Emirati hanno partecipato alla Coalizione internazionale a guida americana contro l’Isis. Mentre, per quanto non vi sia ufficialità, non avrebbero esitato a intervenire in Libia con i loro caccia in sostegno al generale Khalifa Haftar, nemico dei Fratelli musulmani.
Ma è sul fronte economico che le conquiste sono più evidenti. Dubai, la capitale araba che non dorme mai, è uno dei tanti esempi, forse il più emblematico della profonda trasformazione che ha vissuto la monarchia del Golfo più occidentalizzata. Nel 2009 il Pil era a 253 miliardi di dollari. Nel 2018 era 424 miliardi. Merito del petrolio? Non del tutto. Senza dubbio è grazie al greggio che gli Eau sono riusciti a costruire il nuovo Paese. D’altronde, in virtù delle recenti scoperte, gli Eau detengono le seste riserve di petrolio e di gas naturale al mondo. Il più ricco emirato, quello di Abu Dhabi, estrarre il 95% della produzione petrolifera totale. L’export è oltre il 5% di quello mondiale e le rendite energetiche hanno contribuito alla costruzione del fondo sovrano più ricco del mondo (oltre 800 miliardi di dollari).
Eppure, in questa regione immersa nel greggio, dove quasi tutti i Paesi non sono riusciti a curare la loro petro-dipendenza, o farlo malamente, gli Emirati sono riusciti a portare avanti con successo un reale processo di diversificazione: l’incidenza delle rendite petrolifere sulla quota del Pil è così crollata dal 60% del 1980 al 30% dei nostri giorni. Sono così esplosi nuovi settori come il manifatturiero (12,6% del Pil), gli Hotel (11,4%), o il Real Estate (9,4%). Insomma, questo dinamico Paese è riuscito a far patrimonio della sua favorevole posizione geografica, incastrata tra l’Africa, l’Asia e l’Europa. Arrivando a creare la compagnia aerea più grande al mondo.
Nonostante le difficoltà degli ultimi anni, che hanno colpito i paesi esportatori di greggio, forte del suo processo di diversificazione, l’economia degli Eau sta mostrando segnali di ripresa. Se nel 2017 il Pil ha fatto registrare la più bassa crescita reale dal 2009 ad oggi (+0,8%), nel 2019 la crescita dovrebbe essere del 2,3% per poi avvicinarsi al 3% nel 2020. Siamo tutt’ora in un periodo di incertezza. Ma dall’Expo2020 la monarchia si attende un nuovo slancio all’attività economica, in particolare a Dubai.
Il tempo ci dirà se il carismatico – per i suoi oppositori controverso – sceicco Mohammed bin Zayed Al Nahyan, principe ereditario e ministro della difesa di Abu Dhabi, definito dal New York Times l’uomo più influente del Medio Oriente, riuscirà a centrare il suo ambiziosissimo obiettivo: azzerare le esportazioni di greggio entro il 2050. Per trasformare gli Emirati in un’economia che non si basa sul petrolio.