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 2019  novembre 28 Giovedì calendario

Apre il museo di Giacomo Agostini. Intervista

Con quel casco a scodella, così leggero che oggi non lo indosserebbe un bimbo per andare in bici, ci ha corso i suoi due primi Mondiali in sella alla 250 bialbero della Morini. Più di mezzo secolo fa. È tutto screpolato. Le vecchie tute, poi: sottili come carta, allora quando cadevi era come essere nudi. Profumano sempre di buono, di pelle. Sul cuore hanno cucito il disegno di un pacchetto di sigarette, quelle bianche e rosse: lo sponsor. Quante foto appese: ce n’è una con Giuseppe Saragat, Presidente della Repubblica dal 1964 al ’71, mentre gli consegna il titolo di Cavaliere. Un’altra immagine è con Azeglio Ciampi, che nel 2003 lo ha fatto Commendatore. La Yamaha 700 del ’74 sul cavalletto: a Daytona superò Kenny Roberts, rischiando di svenire per la fatica all’ultimo giro. La mitica MV Agusta. In una teca, taccuini di una vita in pista, la scrittura precisa: "Gara di Imola, 19 aprile 1965, strada bagnata, cambiato rapporto posteriore denti 55". Pilota e sex symbol degli anni Settanta, altro che Instagram. I rotocalchi, i fotoromanzi, le locandine di alcuni film in cui è stato protagonista: Amore Formula 2 di Mario Amendola, Bolidi sull’Asfalto – A tutta birra! di Bruno Corbucci. E poi, i trofei: medaglie d’oro, 364 coppe. Ancora moto e memorabilia. Un calendario del 2020 – sì, il prossimo – che gli hanno appena dedicato in Germania. Giacomo Agostini ieri ha aperto agli amici le porte di un garage, nella sua Bergamo, dove ha raccolto i ricordi di un’esistenza a tutta velocità che non finisce mai: 77 anni, 15 titoli mondiali. Una straordinaria storia italiana.
Un museo da impazzire.
«Ma quale museo, non fatemi sentire vecchio! Diciamo piuttosto: una sala trofei. Una scatola con dentro le mie cose più belle, e che mi va di condividere. Mia figlia ha aperto un b&b a Bergamo Alta, Villa Vittoria: una volta al mese ci porterò i suoi ospiti, prima di cena. Guardandomi intorno, sarà come rivivere il film della mia vita. Questa maglia gialla, ad esempio: la indossavo sotto la tuta nera perché faceva figo, poi però era tutta rotta e l’ho buttata. L’ho ritrovata quando è morto mio padre, rovistando tra i suoi cassetti».
Com’è cominciato tutto questo?
«Da bambino sognavo solo di salire su di una moto, poi di correre una gara.
In Italia, all’estero. Vincere una corsa. Un campionato. Mi è riuscito tutto.
Sono stato molto fortunato, è vero.
Ma altrettanto curioso: non mi sono mai fermato, neppure ora. Mi piace la gente, comunicare, conoscere. Fare amicizia. Imparare, sempre. È così che si resta giovani. E felici. Ad un patto: bisogna essere modesti, e – al momento giusto – accontentarsi.
Serve calma, leggerezza».
"Ago", il più grande di tutti?
«Sciocchezze. Ogni epoca ha il suo campione. Carlo Ubbiali, Mike Hailwood, Jim Redman, Valentino Rossi, Marc Marquez. Come si fa a dire chi è stato il migliore? Oggi tecnicamente sono stati fatti progressi incredibili. E c’è una grande pressione. Ma ai miei tempi c’era la paura: ogni due settimane vedevi un tuo collega morire».
Si potrebbe fare la classifica in base ai successi.
«Ho 15 titoli in carriera, e un solo rimpianto: nel 1965 ero in testa al mio primo campionato delle 350, a 6 giri dalla fine dell’ultima corsa – in Giappone – mi si è staccato un filo del condensatore, una roba da 2 centesimi. Valentino per ora è fermo a 9, posso azzardare che non mi raggiungerà. Marquez, invece: ha talento, è giovane. Spericolato, pure troppo: meglio che eviti i tanti capitomboli, le cadute non portano mai bene. Comunque due grandissimi campioni».
Però Agostini ha vinto 122 corse.
«E no, caro: sono 123. Compresa questa di Hockenheim che valeva per il Mondiale 750: 25 settembre 1977, le piace la coppa?».
I piloti non lo fanno mai, ma per una volta chiuda gli occhi.
«Va bene. Mi metto a pensare che il nostro è uno sport che – comunque vada – finisce troppo presto. Allora sogno: di avere 40 anni di meno, e di tornare in pista».