Che ci fosse del feeling tra l’universo "trumpiano" che si muove nel nostro Paese e la capa di Fratelli d’Italia, lo si era capito. Ma due settimane fa, per la precisione nel tardo pomeriggio di martedì 12 novembre, è accaduto qualcosa di più: è stata invitata dall’ambasciatore statunitense a Roma, Lewis Eisenberg, ad un incontro super riservato. Il faccia a faccia si è svolto nella residenza del diplomatico Usa, Villa Taverna. L’esito del colloquio è stato tanto pragmatico quanto fondamentale per il partito in ascesa della destra postmissina: l’amministrazione di Washington trasmette il suo apprezzamento. Al punto da rendersi disponibile a collaborare per un nuovo viaggio negli Stati Uniti della Meloni all’inizio del 2020. Una missione organizzata per farle varcare i cancelli della Casa Bianca per parlare direttamente con Trump o in alternativa con il vicepresidente Pence. L’agenda e le date sono ancora definire. Nelle intenzioni della presidente di Fdi ci sarebbe anche il tentativo di fare conoscenza, nella stessa occasione, con i pezzi forti del Grand Old Party, ossia del Partito Repubblicano.
Il secondo effetto è probabilmente ancora più concreto. Fare affidamento sull’amicizia americana significa, ad esempio, poter contare su un sostegno potente in una futura campagna elettorale. A partire dalle piattaforme che costituiscono il vero trampolino per agevolare le vittorie: web e social media. Insomma, la cosiddetta "bestia" salviniana potrebbe ritrovarsi un concorrente più efficiente rispetto a quelli che fino ad ora l’hanno sfidata.
Il placet di Washington, del resto, non solo è potenzialmente in grado di esercitare un peso sugli equilibri politici prossimi venturi ma, soprattutto, di ridefinire i rapporti di forza della destra italiana. Fino ad ora sostanzialmente egemonizzata da Matteo Salvini.
Anzi, proprio il segretario leghista sta svolgendo un ruolo, in negativo, nella costruzione delle nuove gerarchie "trumpiane" in Italia. Il nodo è sempre lo stesso: i rapporti del leader lumbard con la Russia e con gli "ambasciatori" di Putin. Il presidente americano non si fida di chi ha intavolato relazioni intense con Mosca. I documenti e gli audio pubblicati solo pochi mesi fa sugli incontri all’Hotel Metropole di Mosca hanno acceso i riflettori della magistratura italiana e hanno suscitato - come ultimo fattore di riflessione - l’attenzione degli analisti che lavorano per The Donald.
L’Amministrazione Usa punta a sollecitare e sostenere in Europa interlocutori certamente di stampo sovranista, preferibilmente antieuropeisti e sicuramente fedeli alla Nato. Il conflitto commerciale con la Cina, infatti, non viene considerato una banale lite economica. Lo scontro con Pechino accompagnerà gli assetti mondiali nei prossimi anni . E allora si punta su alleati capaci di prestare le garanzie massime. E Salvini non sembra garantirle a pieno. Non per la vicinanza alla Cina ma per quella alla Russia. Che nella diatriba sino-americana difficilmente si schiererebbe con gli States.
Non è un caso che quando, a marzo scorso, la Meloni volò per la prima volta negli Usa per partecipare al CPAC, la Convention dei Conservatori statunitensi, se la prese essenzialmente con l’Unione Europea («un’entità non democratica imposta alle nazioni europee da élite globali nichiliste guidate dalla finanza internazionale»).
La simpatia statunitense per la Meloni sarà dunque un fattore non trascurabile nei prossimi mesi. Tutto si muove nella previsione che le elezioni in Italia non si terranno a scadenza naturale, ossia nel 2023. Ma ben prima. L’appoggio di Trump, gli strumenti che una macchina tanto potente può mettere a disposizione, non saranno indifferenti. In primo luogo per le gerarchie dentro la destra italiana. E infatti il leader leghista ha iniziato a manifestare una qualche insofferenza nei confronti della sua alleata che non chiama mai per nome ma facendo ricorso a un paio di fiabe disneyane: quella dei sette nani e quella più recente di Malefica. Difficilmente le risponde al telefono (come accaduto per l’organizzazione della manifestazione del mese scorso a Piazza San Giovanni). Salvini spera di accelerare il ritorno alle urne proprio per evitare che si consolidi il rapporto di Fratelli d’Italia con i conservatori a Stelle e strisce. Il suo iperattivismo si sta così concentrando sul Senato e sulla possibilità di conquistare alla causa populista un plotone di parlamentari grillini al fine di mettere in crisi il Conte2.
Del resto, «competition is competition ». Quindi anche la guida della nuova coalizione di destra è in palio. Sia Salvini sia Meloni ne sono consapevoli. Semmai non trovano ancora una risposta ad un altro interrogativo: con chi si schiererà Berlusconi?
Di certo adesso risuonano in modo diverso le parole che poco più di un anno fa, alla festa di partito di Fdi, pronunciò Steve Bannon, lo stratega di Trump ed ex vicepresidente di Cambridge Analytica: «Io vi posso aiutare focalizzandoci sulle prossime europee per vincerle. Vi possiamo fornire e far realizzare sondaggi, analisi di big data, preparare cabine di regia, tutto quello di cui si ha bisogno per vincere le elezioni. Vi aiutiamo in modo gratuito ». E in un’altra occasione, proprio rivolgendosi alla stessa Meloni, le consegnò una specie di massima elettorale: «Dai un volto razionale al populismo di destra. Verrai eletta».
Resta il fatto che l’Italia sembra tornare ad essere una delle piattaforme su cui combattere la guerra fredda del XXI secolo. O più semplicemente diventerà una prateria per ingerenze o occulte scorribande straniere.