il Giornale, 28 novembre 2019
Il caso del Cristo Portacroce del Romanino
Il Cristo Portacroce del Romanino – appartenuto fino al 2012 alla Pinacoteca di Brera e poi sequestrato negli Stati Uniti, dov’era esposto a una mostra, e riconsegnato alla famiglia ebrea che ne era stata spossessata ad opera dei nazisti è ricomparso a Parigi in un’esposizione temporanea di capolavori rinascimentali ospitata al museo Jacquemart-André. È la prima volta che il quadro torna in pubblico, dopo l’asta di New York del 6 giugno 2012 dove fu battuto per 4,56 milioni di dollari (all’epoca, 3,65 milioni di euro) per poi sparire con discrezione. Ora si apprende che appartiene alla collezione Alana che prende il nome dal miliardario cileno Alvaro Saieh Bendeck e da sua moglie Ana, un sodalizio artistico che richiama gli intestatari del museo parigino, anch’essi marito e moglie e grandi cultori del Rinascimento italiano. Saieh – nel 2018 quarto uomo più ricco del Cile, stando alla rivista Forbes, e 729mo più ricco del pianeta – lo ha acquistato direttamente all’asta di sette anni fa; anche la cornice è rimasta la stessa.
Ora che l’opera è su suolo europeo, ci si è chiesti se potesse essere recuperato, considerando che l’avvocatura dello Stato, a suo tempo, aveva considerato quello di Brera «possesso legittimo perché in buona fede», e che aveva considerato illegittima l’assegnazione da Christie’s perché «vendita di cosa altrui». Ma i carabinieri del Nucleo di tutela del patrimonio artistico, allertati dal ministero dei Beni culturali, hanno escluso la possibilità di un’azione di rivendica. Questo significa che per Brera il Romanino è definitivamente perduto, e ciò rinnova la ferita per la privazione patita dal museo milanese e per il danno economico, decisamente rilevante. Non ci fu, all’epoca né indennizzo da parte dell’assicurazione né un’azione per danno erariale. Tutto sfumò con una semplice valutazione negativa del ministero sull’operato della soprintendente di allora. La vicenda è complessa e appassionante come un thriller internazionale, ambientato tra la Lombardia, Parigi, la Florida, il Cile, con il quadro protagonista, suo malgrado, di acquisti, vendite, sequestri, aste, sullo sfondo dell’occupazione nazista della Francia e delle ingiustizie inflitte agli ebrei durante la Seconda guerra mondiale.
Il Cristo Portacroce, dipinto intorno al 1540, appartenuto a lungo alla famiglia bresciana Averoldi, nel Novecento entrò nella collezione di Federico Gentili, ebreo, diplomatico italiano a Parigi. Egli morì nel 1940, e nel 1941 il governo filo-nazista di Vichy requisì ai suoi eredi una settantina di opere che vendette all’asta da Drouot per sanare, si disse, debiti contratti dalla famiglia. I congiunti lasciarono la Francia, alcuni ripararono in Canada, altri morirono nei campi di concentramento. Il Romanino passò di mano un paio di volte e nel 1998 fu acquistato dalla Pinacoteca di Brera per 670 milioni di lire. Dopo molti anni, i superstiti della famiglia e i loro discendenti avviarono la catalogazione dell’antica raccolta e cominciarono a chiedere le restituzioni. Nel 1999 sia il Louvre che la Gemaldegalerie di Berlino furono costretti a restituire alcune opere, che anche allora furono battute all’asta da Christie’s. Nel 2000 fu inoltrata una richiesta analoga anche al governo italiano, che fu respinta perchè l’Avvocatura dello Stato sostenne la piena legittimità del possesso del Romanino. Nel 2010 nacque l’idea di allestire negli Stati Uniti una mostra dedicata al Barocco lombardo nell’ambito delle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Fu scelto, non senza una certa leggerezza, il Mary Brogan Museum of art and sciences di Tallahassee, in Florida, istituzione recente e con una vocazione talmente diversa da Brera da ospitare mostre sul Titanic e sul corpo umano, orientato all’etnografia e all’arte contemporanea e non all’arte antica. Subito la scelta del museo ospitante fu criticata da Simonetta Coppa, curatrice della mostra di 50 opere del Seicento lombardo. Il Romanino apparteneva poi a un periodo precedente e con il Barocco non c’entrava nulla: fu aggiunto per decisione della soprintendente di allora, Sandrina Bandera, che lo considerò una premessa agli sviluppi artistici successivi. La Coppa, per dimostrare il suo dissenso, si rifiutò di stilare la scheda per il catalogo.
Nel marzo 2011 arrivarono a Tallahassee le casse con i quadri, per la mostra in calendario dal 18 marzo al 23 luglio. Le opere furono assicurate per complessivi 29,9 milioni di dollari (23,9 milioni di euro di allora), di cui 2,5 milioni di dollari per il solo Romanino. Comprato nel 1998 per 670 milioni di lire (equivalenti a 340mila euro), dopo 13 anni viene stimato 2 milioni di euro, con una rivalutazione di circa sei volte. Cifra generosa, ma «imposta dal ministero dei Beni culturali» spiegò Ilaria Niccolini, titolare dell’agenzia statunitense che fu incaricata di organizzare la mostra. Quella cifra sarà la base d’asta quando, poco tempo dopo, il quadro verrà battuto da Christie’s.
E qui la storia si tinge di giallo, perché, nonostante le sollecitazioni al ministero e a Brera, che successivamente si rimbalzarono le responsabilità, il quadro non fu protetto dall’Immunity from judicial seizure act, un certificato che rende immune un’opera d’arte dalla confisca su suolo americano, che ha lo scopo di facilitare i prestiti da parte dei proprietari stranieri per mostre senza scopo di lucro. Ci fosse stato questo semplice documento, il quadro si sarebbe salvato, mentre, sottovalutando i rischi, la tela indifesa fu egualmente esposta. «Per quanto sapessimo, non sussisteva alcun pericolo» affermò la Bandera, che ricordò la pronuncia di legittimità dell’Avvocatura e il fatto che il Romanino era stato esposto senza problemi in Australia nel 2002 e al Metropolitan di New York nel 2004. Aggiunse che «a Brera non esisteva alcun documento che potesse far venire qualche dubbio su una provenienza illecita». La richiesta del 2000 della famiglia Gentili, respinta dal governo italiano, non aveva dunque lasciato traccia negli archivi della pinacoteca, nonostante l’eco internazionale della notizia.
Fu proprio un funzionario di Christie’s a scoprire otto anni fa che il Romanino era stato staccato dal suo chiodo e che si trovava negli Stati Uniti. Un caso? Probabilmente no, visto che la casa d’aste londinese segue con scrupolo le vicende relative ai quadri rivendicati dai Gentili, ottimi clienti, sempre pronti a rivendere le opere presso le sue sedi. La macchina legale si attivò immediatamente, e il 21 luglio 2011 la controversia internazionale fu notificata al Brogan Museum. Il Romanino venne sequestrato da agenti federali su ordine della procura, restò in Florida dopo la chiusura della mostra e il 2 febbraio 2012 il giudice ne ordinò la restituzione alla famiglia Gentili perché, in base alle leggi americane, il quadro era stato rubato dai nazisti nell’ambito delle persecuzioni degli ebrei. Disse all’epoca Chucha Barber, ex direttrice del Brogan Museum: «Credo che qualcuno abbia voluto che questo dipinto fosse scoperto negli Stati Uniti per essere restituito al legittimo proprietario».
A nulla servirono i tentativi del ministero di interrompere la procedura considerando Brera legittimo proprietario, e ripetuti incontri all’ambasciata Usa a Roma risultarono inutili. Nemmeno le offerte alla famiglia di riacquistare il quadro ebbero successo, anche perché la cifra proposta dal governo italiano (pare 3-400mila euro) fu giudicata troppo bassa. Il 18 aprile del 2012, nel corso di una cerimonia affollata di pubblico, tv e stampa, il quadro fu riconsegnato ai sei eredi Gentili, rappresentati da Lionel Salem e sparsi tra Stati Uniti e Gran Bretagna. Questi decisero di liberarsene immediatamente perché, come dissero, «un quadro non si può tagliare a fette», ma soprattutto perché era la cosa più prudente in una vicenda scottante. Il 7 giugno, a New York, venne aggiudicato per 4,56 milioni di dollari. Da quel giorno non se ne seppe più nulla. Fino alla ricomparsa a sorpresa nella mostra parigina del Jacquemart-André. Per chi volesse, è aperta fino al 20 gennaio.