Jacopo Iacoboni per www.lastampa.it, 28 novembre 2019
I VERI RAPPORTI TRA GRILLO E DI MAIO, CHE NON SONO QUELLI RACCONTATI DAL DUO CONTE-CASALINO NÉ DAL PD - L'ELEVATO HA RICONFERMATO TOTALMENTE GIGGINO, CHIAMA “ROMPICOGLIONI” QUELLI CHE GLI TELEFONANO, NON SOLO DAL M5S, PER PERORARE L’ALLEANZA COL PD. CONTE LO CHIAMA DI CONTINUO, E BEPPE NON NE PUÒ PIÙ. L'UNICA INDICAZIONE CHE HA DATO È QUELLA DI TENERSI LONTANI DA SALVINI -
Nell’ormai celebre weekend scorso di Grillo – quello in cui il cofondatore del M5S è venuto a Roma per varcare due volte la soglia dell’ambasciata cinese a Roma – il comico ha naturalmente trovato il tempo di fare una chiacchierata con Luigi Di Maio, che qui possiamo ricostruire con precisione grazie a due fonti interne al Movimento. C’era molta attesa, specialmente al vertice del Pd e a Palazzo Chigi, dove – in assoluto tandem comunicativo – volevano vedere la discesa di Grillo come dettata dalla necessità di rimettere in riga Di Maio e trovare la quadratura a un Movimento in marasma. Ma le cose, a quanto ci risulta, non stavano così. Grillo non è sceso a Roma con il bastone contro Di Maio, tutto il contrario: aveva in mano la carota.
Il primo elemento è suggerito dalla semplice scansione temporale dei fatti: Grillo è arrivato nel pomeriggio di venerdì nella Capitale, ma Di Maio non si è affatto affrettato a rientrare dalla Sicilia: tra i due vi è stata una telefonata cordialissima, con la promessa di farsi una chiacchierata il giorno successivo. Non esattamente, da parte di Di Maio, il comportamento di chi sta per essere giubilato.
Grillo ha avuto così tempo di andare due volte in ambasciata cinese, il reale scopo della sua venuta; e ha limitato al minimo le visite da parte dei grillini all’Hotel Forum, i vari scontenti di Di Maio che però non rappresentano un fronte unito, non hanno una reale operazione alternativa a lui, tanto meno un leader, e sono uniti sostanzialmente da una cosa: il mugugno, per i più diversi motivi. C’è chi è frustrato perché non ha avuto la poltrona che voleva.
Chi si sente “più vicino alla sinistra” ma non ha nessuna capacità organizzativa nel gruppo, né di leadership interna. Chi si batte per l’Ilva ma non l’avrebbe fatto se avesse ottenuto un sottosegretariato. Chi ha avuto posti di potere incredibili grazie all’abilità nella trattativa di Di Maio, e ora attacca Di Maio. E chi accusa Di Maio per la perdita di voti del Movimento, ma sono proprio i fautori dell’alleanza col Pd, ossia quella che sta facendo perdere voti, e che Di Maio – come noto – non voleva.
Ben cosciente di questa situazione, nel pomeriggio di sabato Grillo e Di Maio si sono presi un’ora e mezzo per chiacchierare. La prima cosa che Grillo gli ha detto è stata, in maniera addirittura complice: «Luigi, sono circondato da rompicoglioni che mi chiedono di intervenire, di riportare ordine, adesso non più solo del Movimento, anche da fuori. Non ne posso più. Il capo sei tu, io non ho nessuna intenzione di occuparmi delle scelte politiche del Movimento, non ho il tempo e neanche la voglia, ho una vita a cui stare dietro, perciò vai avanti, hai tutta la mia fiducia».
L’unica indicazione che gli ha dato – questo è vero – è che «bisogna stare contro Salvini, ora. Per il resto fai tu. Noi siamo il Movimento, non siamo il Pd». Non a caso, quando parla di convergenze con la sinistra, Grillo aggiunge sempre l’espressione «sulle questioni alte». Non sta affatto dettando un’alleanza.
Di Maio a questo punto gli ha esposto come la vede lui, una strategia sulla quale Grillo concorda: un Movimento compatto, agile, pazienza se con qualche voto in meno, o qualche unità in meno, ma non diluito nel Pd – un’alleanza strategica col Pd significherebbe la morte del Movimento. Invece, una linea “autonomista”, chiamiamola così, è anche quella che piace a Davide Casaleggio: mantenendo una sua autonomia, il Movimento può restare importante, specialmente con un sistema proporzionale – e estremamente utile, tra parentesi, alle relazioni dell’imprenditore milanese. Sciolto de facto nel Pd, al contrario, diventa un asset inutile. Spento, finito.
E’ una linea assai diversa da quella per cui si battono il premier Conte e il suo portavoce Rocco Casalino, ormai ammaliati nel sistema di relazioni trasversali dalla romanità. Cosa che resta estranea ai fondatori del Movimento. Grillo, con Di Maio, si è concesso qualche battuta ironica anche sulle numerose telefonate che gli giungono da Palazzo Chigi, «mi chiamano di continuo...», ha sospirato. Così come gli è capitato di sentirsi anche con alcuni “grandi vecchi” del mondo Pd. Non Zingaretti, con cui non c’è un contatto diretto, mentre Grillo ha parlato sia con Massimo D’Alema sia con Beppe Sala, e forse con qualcun altro, ci dice una delle nostre due fonti. Naturalmente la cosa non può essere confermata con gli interessati.
Nel Movimento, le persone più esposte nella linea anti-Di Maio non sembrano assai compatte tra loro, si va da Roberto Fico a Roberta Lombardi e Nicola Morra, fino a semplici parlamentari come Emanuele Dessì, il discusso senatore della periferia romana che finì al centro delle polemiche per un video amichevole assieme a uno degli Spada: Dessì è uno dei sostenitori di una riforma del regolamento M5S al Senato, per dare potere vincolante all’assemblea, e cioè toglierne a Di Maio. Ecco: è totalmente impensabile che Grillo e Casaleggio lascino la guida politica in mano a loro.
Grillo ha solo chiesto a Di Maio i massimo della collegialità possibile, e infatti i personaggi che potrebbero aiutarlo sono Chiara Appendino e Alessandro Di Battista: due che, con tutta la loro diversità, non sono assolutamente nel fronte anti-Di Maio. La chiacchierata ha infine toccato i temi, e Grillo concordava quando Di Maio gli ha detto che su alcune battaglie, immigrazione e Mes su tutte, il M5S deve «tornare a essere il Movimento, anche davanti al suo pubblico». Più sovranismo, meno establishment. No, non è un via libera all’«alleanza strategica col Pd».