La Stampa, 28 novembre 2019
Intervista al poeta Goldsmith
Per capire come Wittgenstein possa collegarsi a Hillary Clinton serve poesia, versi che siano cresciuti in rete, abbiano viaggiato on line, dentro un fascio di corrente. A unire i puntini ci pensa Kenneth Goldsmith: poeta americano, artista, insegnante di scrittura creativa e inventore di Ubuweb, un sito deposito di tutto quanto fa avanguardia. Ieri sera a Venezia, al teatrino di Palazzo Grassi, ha dichiarato «Un permanente stato di felicità», titolo manifesto che parte dalla logica del filosofo Wittgenstein e arriva alle mail della mancata presidente Clinton. Goldsmith le ha messe in mostra, sempre a Venezia, al Despar Teatro Italia.
Scusi, dove sta il nesso?
«Wittgenstein dice che si può ottenere qualità grazie alla logica, solo che nell’era digitale abbiamo rinunciato alla qualità in nome della quantità. Per la mostra ho stampato le 62 mila pagine con le email di Hillary Clinton, tutte. Sono una mole di informazioni che nessuno ha tempo di processare. Sono a disposizione, si possono leggere, quasi nessuno lo ha fatto ma tutti hanno un’opinione in merito. Perché sono 62 mila pagine e devono pur contare. Il numero è un metro di valutazione».
Reazioni alla mostra?
«Hillary Clinton è venuta a leggere le sue stesse mail, non era pianificato ed è stato molto strano, come se fosse diventata un’attrice della mia performance. È stata lì più di un’ora, dietro la riproduzione della scrivania dove lavorava suo marito, la stessa che ora usa Trump. Ha scrutato la sua corrispondenza che ormai è altro: è un documento politico, forse il più importante di questi anni».
È convinto che le mail abbiano influenzato le elezioni americane?
«Le hanno decise».
Lei è stato alla Casa Bianca, a leggere poesie, quando Obama era in carica. Che cosa ricorda di quella serata?
«Ore indimenticabili, Obama e la moglie trattavano l’arte molto seriamente. Ci mancano, soprattutto a New York».
Trump non ha invitato poeti alla Casa Bianca?
«No, mai, neanche uno. Obama lo faceva di continuo e prestava una grande attenzione a quelle letture. Era straordinario e ora parliamo di lui come se fosse stato presidente cent’anni fa perché poi è arrivato Trump. Violentemente diverso».
Gli americani lo hanno votato perché volevano meno poesia?
«Molti odiavano l’idea che ci fosse un presidente nero, desideravano tornare indietro, cancellare quello che avevano visto, non erano pronti e Trump ha offerto loro una via d’uscita perfetta. Gli Usa hanno un brutto rapporto con il razzismo: lo schiacciano giù senza affrontarlo e quello torna a galla».
Non sta succedendo solo negli Usa.
«No, è una tendenza diffusa... populismo, nazionalismo. In Italia avete fatto uscire Salvini dal governo e forse avete un esecutivo migliore rispetto a quello di sei mesi fa, ma io come poeta sono più colpito dal legame tra l’estrema destra italiana e Ezra Pound, una brillante mente fascista. Il fatto che lo usino è disturbante: non so se chi fa propaganda in suo nome abbia letto le poesie che ha firmato, se la gente lega il suo lavoro a Casa Pound. Pound era completamente folle eppure resta un poeta capace, la prova che i mostri possono essere meravigliosi».
La poesia oggi è mostruosa o meravigliosa?
«È una corrente, sembra che sia slegata da ogni concetto pratico, e lo è, ma muta comunque ciò che tocca perché ha energia, forza. La poesia ha un posto nella politica di oggi e qui torniamo alle mail».
Quindi c’è poesia pure su Internet o nei social?
«Anche. Ci sono molti punti di contatto. Twitter e i suoi caratteri limitati, per esempio: una forma di metrica, a suo modo. Instagram è puro Warhol, la replica dell’immagine all’infinito. Lì c’è arte, anche se nessuno la chiamerebbe così».
Sicuro? Oggi tutti si sentono protagonisti, autori, tutti pensano di avere vite da romanzo.
«Già, e non è un’idea così da buttare. Sento dire di continuo che la gente ormai non legge e non scrive più, però in realtà non si fa altro: mail, dati, post. Leggiamo molto più di vent’anni fa».
Sono buone letture?
«Sono differenti e dobbiamo accettarlo. Internet non è una perdita di tempo e accorciare non significa per forza peggiorare. Hemingway ha scritto un romanzo in sei parole: "For sale, Baby shoes, Never worn" (In vendita, Scarpe da bambino, Mai messe). Non è un telegramma, è un mondo».
Lei che libri ha sul comodino in questi giorni?
«Émile Zola e Shoshana Zuboff: il suo The Age of Surveillance Capitalism parla di come Facebook vende i nostri dati. Leggo un maestro del XIX secolo e una scrittrice del XXI secolo insieme e non parlano lingue diverse. Zola ha documentato l’ascesa del capitalismo e molte delle sue considerazioni sono alla base del ragionamento di chi analizza l’evoluzione di quel sistema economico. Anche la letteratura punto zero si nutre del passato. Non si stacca, non cancella, non rinnega, continua un lavoro iniziato secoli fa».