La Stampa, 28 novembre 2019
Vivere da schiavo dell’algoritmo di Amazon
Lavoro per Amazon. Consegno 130 pacchi al giorno e sono schiavo di un algoritmo». Area industriale di Brandizzo, mezz’ora da Torino. Walter Ghiron, rappresentante sindacale della Uil Trasporti, trent’anni da compiere, gli ultimi tre e mezzo passati a fare su e giù per la città con un furgone, oggi si è fermato. E assieme a lui almeno cento colleghi. Sono corrieri, gli uomini «dell’ultimo miglio». Quelli costretti a sfidare il traffico infernale con in tasca il contratto di una delle tante ditte esterne a cui si affidano i signori dell’e-commerce. I figliastri del boom 2.0: un click, una corsa.
Si parte presto, racconta Ghiron, che ha un contratto a tempo indeterminato con una società di trasporti, «tra le 7,45 e le 8 devi essere in azienda, in questo caso a Brandizzo dove ha sede il polo logistico da cui partono i viaggi. Prima di mettermi al volante ricevo dal nostro responsabile le consegne affidate da Amazon. Quando salto sul furgone, però, l’applicazione che ognuno di noi ha sul telefonino in dotazione controlla il nostro percorso, ma il software informatico non tiene assolutamente conto degli imprevisti: il semaforo rosso, il traffico e la macchina che ti si spegne davanti con il "nonnino" alla guida. Ma tu devi consegnare e basta» Ghiron si ritiene fortunato, perché la rotta è sempre la stessa: precollina e Gran Madre. E’ una vita frenetica, per 1600 euro al mese. Con l’incubo delle multe, che abbattono gli stipendi.
«Una consegna, una seconda e un’altra ancora senza guardare dove parcheggi: in doppia fila, sul marciapiede o in divieto di sosta. Mi capita di non allacciare nemmeno la cintura perché perderei troppo tempo tra una consegna e l’altra. Tra uno stop e l’altro prendo dal cassone del furgone il pacco per la prossima consegna e me lo metto nel sedile a fianco. Non dovrei farlo, ma così guadagno ancora qualche minuto. Non hai nemmeno il tempo per fermarti e andare in bagno». Qualcuno dei suoi colleghi s’è attrezzato: bottigliette nel cofano, e i bisogni sono sistemati. Pausa pranzo? «Mai fatta. Ordino per telefono un toast al bar più vicino, lo mangio davanti al cliente mentre consegno il pacco. Certi clienti non li vedo nemmeno, soprattutto quelli che vivono nei condomini perché per velocizzare la consegna lascio il pacco in ascensore». La grande rincorsa finisce alle sette di sera: «Torni a casa e non riesci a smaltire lo stress». E allora è nata questa protesta, proprio nei giorni del Black Friday. Con una manifestazione davanti al polo logistico. «Perché la nostra vita è a repentaglio tutti giorni, e non vengono riconosciuti gli straordinari».
È una ricostruzione che da Amazon contestano. «Il numero dei pacchi da consegnare è assegnato ai corrieri in maniera appropriata e si basa sulla densità dell’area nella quale devono essere effettuate le consegne» spiega il colosso. E i turni? «Circa il 90% degli autisti termina la propria giornata di lavoro prima delle 8 ore e 45 minuti come previsto dal contratto Trasporti e Logistica. Nel caso in cui venga richiesto straordinario, viene pagato il 30%. E chi lavora la domenica ha diritto al riconoscimento del riposo compensativo e alla maggiorazione del 50% dello stipendio».
Ghiron, è sufficiente? L’uomo delle consegne si confronta con gli altri, dopo una lunga assemblea. E alla fine si vota una protesta che non s’era quasi mai vista. Si va avanti, ma d’ora in poi rispettiamo le norme imposte da Amazon, spiega: rispetto del codice della strada, firma del cliente da apporre sul ritiro del pacco. Tutto secondo le regole. A scapito della velocità.