la Repubblica, 27 novembre 2019
Quando è la casa a farci male
Casa, dolce casa. Peccato però che tra le mura domestiche si registri un vero bollettino di guerra. Ogni giorno, stando ai dati dell’Istituto superiore di sanità del progetto Siniaca ( Sistema informativo nazionale incidenti ambienti civile abitazione), poco meno di 8 mila persone si feriscono tra le mura domestiche. In totale, quindi, quasi due milioni e 800 mila l’anno. Di questi più o meno un milione e 800 mila uomini, donne e bambini finiscono al pronto soccorso (circa un quarto degli accessi legati a traumi) e più di 130 mila necessitano di un ricovero. A rischiare di più le donne, in più di due casi su tre, e sono soprattutto gli anziani a fare i conti con piccole ferite, ustioni, schiacciamenti e soprattutto cadute. Le cifre sono preoccupanti: recentemente la rivista Jama ( Journal of the American Medical Association) ha pubblicato non solo i conti dell’impatto numerico di questi incidenti, ma anche dei costi legati. Negli Usa cade – spesso proprio in casa – un over 65 su tre e purtroppo le lesioni rappresentano una delle principali cause di ricovero in ospedale, con ripercussioni sui costi: tra ospedalizzazione, nuovi ricoveri e percorsi di riabilitazione la spesa annua arriva intorno ai 2,76 miliardi di dollari, contro 1,16 miliardi legati all’ictus e 1,11 per l’infarto.
La tecnologia, per fortuna, può aiutare. E non solo attraverso app o sistemi di controllo remoto, che pure sono utili, specialmente per gli anziani che vivono da soli. A Genova all’ospedale Galliera, grazie ad uno studio congiunto con l’Università, è nata una sorta di Smart Home, una specie di laboratorio per seguire precocemente gli anziani che dovranno uscire dall’ospedale. «Il progetto, chiamato” Mo- Di- Pro”, è dedicato agli anziani ricoverati con dimissione difficile dal reparto per acuti che potrebbero prolungare la degenza per complicazioni come disabilità, cadute o infezioni – spiega Alberto Pilotto, direttore del dipartimento Cure Geriatriche, OrtoGeriatria e Riabilitazione del nosocomio genovese – siamo partiti dalla sicurezza, utilizzando sistemi di controllo ambientali e personali, come braccialetti e sensori di movimento applicati con cerotti al dorso o al torace per poi testare l’efficacia e la sensibilità dei sistemi tecnologici (telecamere e sensori) nel misurare la motilità e i parametri di funzione dei residenti nella struttura, confrontandola con quella dei giovani». Alla fine si ottiene un indice di motilità che è ovviamente maggiore in chi ha meno anni e peggiora in chi è a maggior rischio futuro di cadute, concentrando quindi gli sforzi sui soggetti che corrono maggiori pericoli. «È al via lo studio clinico Pro- home che confronterà 30 pazienti anziani con dimissione difficile immessi nel programma di smart home in confronto ad una popolazione simile che non starà nella casa», precisa Pilotto.
L’obiettivo della scienza, insomma, è riconoscere chi è più a rischio cadute. Può aiutare la misurazione della velocità del passo. Chi camminando normalmente non raggiunge i 70 centimetri al secondo ha un maggior rischio di cadute, e quindi di andare incontro a fratture. Quindi, se possibile, cercate di tenere un’andatura adeguata. Infine, non bisogna dimenticare l’importanza dell’alimentazione e dell’attività fisica per chi è avanti con gli anni. «Il rischio è legato alla sarcopenia, ovvero alla perdita della massa muscolare con riduzione della forza – ricorda Mariangela Rondanelli, direttore dell’Unità di riabilitazione presso l’Istituto di riabilitazione Santa Margherita di Pavia – il primo segno può essere la riduzione del volume dei principali gruppi muscolari di braccia e gambe che rende difficile compiere comuni azioni quotidiane come salire le scale, portare i sacchetti della spesa, prendere un bambino in braccio, alzarsi agilmente da una poltrona, fare una passeggiata. A peggiorare la situazione concorrono malattie endocrine, come le tiroidee, che incidono negativamente sul metabolismo dell’osso, quelle cardiovascolari, come lo scompenso cardiaco, quelle respiratorie, come la bronchite cronica, le osteoarticolari come artrosi e osteoporosi, e naturalmente le malattie neurologiche come il Parkinson o l’Alzheimer».
Il problema è che questa condizione può innescare un circolo vizioso. Meno ci si muove, più si perde muscolo e più si perde muscolo, meno ci si muove. Dai 40 anni in poi, inoltre, si riscontra una diminuzione progressiva del muscolo, tanto che fino ai 70 anni si perde circa l’otto per cento della massa muscolare ogni dieci anni. Dopo i 70 anni il processo subisce un’accelerazione e si arriva al 15 % di perdita ogni dieci anni. La diminuzione di massa muscolare e forza è un processo correlato all’invecchiamento delle cellule muscolari. «Attenzione, però, ci sono situazioni particolari che a ogni età possono accelerare questo processo, rendendo la persona più fragile – conclude la Rondanelli – l’elemento che più bisogna combattere è l’inattività fisica, ma anche un’alimentazione povera di proteine, con un apporto eccessivo di carboidrati e grassi, può rappresentare un fattore importante nell’accelerare la perdita di muscolo».