la Repubblica, 27 novembre 2019
Terremoti, la cintura di fuoco nel Mediterraneo
Qualcuno la chiama “la cintura di fuoco del Mediterraneo”. Nella mappa del pericolo terremoti in Europa, la fascia che va dalla Turchia all’Albania, passando per la Grecia, è di colore viola intenso. Pericolo massimo, anche più diffuso rispetto all’Italia. Per questo la scossa della notte scorsa a Durazzo, ore 3:54, magnitudo 6.2, non stupisce nessun esperto. Nel 1967 qui un terremoto arrivò a 6.6. Solo 12 anni più tardi si toccò magnitudo 6.9. Una tabella che i sismologi mostrano spesso paragona una scossa 6.5 all’energia liberata dall’atomica di Hiroshima. «E Durazzo, quanto ad architettura, assomiglia all’Italia del dopoguerra», racconta Marco Mancini, geologo del Cnr. Il suo istituto (Igag) ha una collaborazione con il Politecnico di Tirana proprio per valutare gli effetti dei terremoti. «Grattacieli anche di venti piani sono venuti su in fretta, senza pianificazione. Già la scossa di settembre aveva provocato danni seri, incluso il museo archeologico».
Il 21 settembre scorso la stessa zona era stata colpita da un sisma 5.8. E già allora il terremoto venne descritto come il più forte degli ultimi vent’anni. «Potrebbe esserci un collegamento fra settembre e oggi», secondo Rita Di Giovambattista, direttrice del Dipartimento Terremoti dell’Ingv (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia). «Può darsi che le scosse di due mesi fa fossero preparatorie di quella attuale». Ma per gli esperti non c’è motivo di pensare che un sisma in Albania possa attivarne uno nel nostro Paese. Siamo troppo lontani.
In Italia, lungo la costa adriatica meridionale, è arrivata però l’eco del sisma albanese. La prima scossa delle 3:54 è stata seguita da altre tre di magnitudo superiore a 5, che hanno fatto tremare la terra in modo leggero anche in Puglia. Per un attimo si è temuto l’arrivo di un piccolo maremoto. Proprio all’Ingv di Roma ha sede il Centro Allerta Tsunami, attivo per tutto il Mediterraneo. «Abbiamo inviato un messaggio di allerta tsunami alle 4:01, sette minuti dopo la scossa», spiega Fabrizio Romano dell’Ingv. «Per Albania e Montenegro abbiamo stimato un livello di allerta advisory. È un allarme basso. Vuol dire che ci aspettavamo onde inferiori ai 50 centimetri di fronte alla costa. I mareografi però non hanno registrato nemmeno quelle e l’allerta è stata revocata alle 7:23».
Quanto all’origine del terremoto albanese, bisogna chiamare in causa il gioco delle placche terrestri. Su grande scala «abbiamo la placca africana che preme verso nord contro quella euroasiatica», spiega Mancini. È il meccanismo che sta facendo lentamente chiudere l’antico oceano Tetide, il cui erede non è altri che il Mediterraneo. A livello dell’Italia e della Grecia, però, queste due grandi placche si frammentano in pezzetti più piccoli e complicati. «La costa albanese si sposta verso ovest di 4-10 millimetri all’anno», spiega Di Giovambattista. «E questa compressione è la causa dei terremoti odierni». In Italia nel frattempo (almeno nella parte centrale della penisola) la costa adriatica preme verso est al ritmo di 1-2 millimetri all’anno. All’interno, nell’Appennino, la crosta si estende generando terremoti come la sequenza di Amatrice e Norcia. Sempre a causa di queste pressioni, in un futuro molto lontano, il Mar Adriatico si restringerà, creando un ponte geologico fra noi e i Balcani.