il Fatto Quotidiano, 27 novembre 2019
I nuovi problemi di Montepaschi
Mentre Roma tratta con Bruxelles per uscire da Mps, i conti e la governance del Monte mostrano i problemi del passato e frenano le prospettive della banca di Siena. Sul fronte reddituale, nella trimestrale di Mps al 30 settembre il rapporto costi/ricavi sale al 71,8% dal 56,4% dello stesso periodo del 2016. Nonostante l’organico sia sceso di 3.490 unità a poco più di 22.100 lavoratori e siano state chiuse oltre 500 filiali, oggi diminuiti a 1.529, i ricavi sono calati più dei costi. Quanto allo stato patrimoniale, a fine settembre Mps aveva un’esposizione netta su crediti deteriorati di 6,9 miliardi con un tasso di copertura del 52,6%. I crediti deteriorati lordi sono dunque 13,1 miliardi circa. Se fossero venduti a prezzi di mercato Mps ricaverebbe circa 2,6 miliardi. A fronte di coperture per 6,2 miliardi, la minusvalenza implicita è di 4,2 miliardi circa.
Ma il rischio sui crediti non è l’unico. Il petitum totale – cioè la somma che Mps dovrebbe sborsare se soccombesse a tutte le cause contro di lei – è di 4,7 miliardi, a oggi coperti da un fondo rischi di appena 500 milioni. Solo i risarcimenti chiesti da soci ed ex soci per i titoli del Monte acquistati nel 2008-2011 (gestione Mussari/Vigni) e nel 2012-2015 (gestione Profumo/Viola) valgono due miliardi. Insomma, Mps presenta potenziali perdite su crediti per 4,2 miliardi e rischi legali per altri 4,2 mentre in Borsa ne capitalizza meno di 1,7.
A queste condizioni nessuno pare interessato a comprarsi il 68,247% del Monte in mano allo Stato che, ai corsi attuali, perde oltre 4,5 miliardi sui 5,39 della ricapitalizzazione prudenziale con la quale nel 2017 salvò Mps. Ecco perché, dovendo concordare con Bruxelles entro fine anno la sua exit strategy da Mps da realizzare entro fine 2021, il governo cerca di separare la parte buona della banca dai suoi crediti deteriorati. Così potrebbe vendere la prima ai privati e tenersi la bad bank. Mesi fa il governo ha presentato alla direzione Concorrenza della Commissione Ue il suo piano: scindere i crediti deteriorati di Mps girandoli ad Amco, la ex Sga al 100% del Tesoro, a un prezzo però più vicino al 47% dei conti di Mps che a prezzi di mercato. Dopo la scissione, gli azionisti di minoranza di Mps sarebbero “compensati” con azioni di Amco, ma c’è chi crede che la mossa li penalizzerebbe perché il recupero dei crediti da parte dell’ex Sga è lungo e incerto. La scissione eviterebbe a Mps di contabilizzare la perdita su crediti, cosa che invece avverrebbe con la cessione. Ma Bruxelles non è convinta: in sostanza il Tesoro azionista di Mps cederebbe a se stesso, attraverso Amco, i crediti dubbi del Monte. Il tutto pare non solo un gioco di prestigio ma soprattutto un aiuto di Stato.
Altre critiche si focalizzano sulla governance del Monte. Giuseppe Bivona di Bluebell Partners nei giorni scorsi ha mandato una lettera di fuoco al cda e ai sindaci di Mps, al presidente del Consiglio Conte e alle commissioni Finanze di Camera e Senato. Bivona scrive: “A oggi il presidente del Monte Bariatti, il vicepresidente Turicchi, l’ad Morelli, il presidente del comitato remunerazione Kostoris, il presidente del collegio sindacale Cenderelli e il sindaco Salvadori, che è a processo, non possono essere ritenuti sufficientemente estranei o distanti” dalle vicende dei derivati Alexandria e Santorini stipulati con DB e Nomura “in quanto in carica (Bariatti, Turicchi, Kostoris, Cappello, Cenderelli, Salvadori) in almeno uno dei periodi interessati agli illeciti contestati a DB e Nomura o in carica come responsabile finanziario, vicedirettore generale e preposto ai documenti contabili (Morelli) quando nel 2009 fu eseguita l’operazione con Nomura. Persino la società di revisione E&Y oggi è la stessa che ha accertato la ‘conformità’ dei bilanci 2011-2015” sui quali è in corso il processo a Profumo, Viola e Salvadori. “La continuità” della governance di Mps è “il vero vulnus”, conclude Bivona.