Corriere della Sera, 27 novembre 2019
Gas serra obiettivi irraggiungibili
Male, e con la prospettiva di finire peggio. Il messaggio delle Nazioni Unite sullo stato dei gas serra nel 2019 diffuso ieri non è propriamente rassicurante. Il quadro anzi è «desolante», un termine che un organismo internazionale difficilmente utilizza. «Nell’insieme – si legge nell’Emission Gap Report 2019 – i Paesi non sono riusciti a fermare la crescita delle emissioni, il che significa che ora serviranno tagli più profondi e più rapidi». Insomma, gli obiettivi fissati a Parigi nel 2015 dagli Stati firmatari dell’accordo sul clima sono sempre più lontani, e ad essere realisti quasi irraggiungibili. La distanza tra dove siamo e dove dovremmo essere si legge nelle cifre: a politiche correnti nel 2030 le emissioni mondiali di CO2 saranno pari a 60 miliardi di tonnellate e l’incremento delle temperature sarebbe superiore ai 3 gradi. Se si volesse centrare l’obiettivo di un incremento delle temperature di 2 gradi bisognerebbe scendere a 41 miliardi, e a 25 miliardi se si puntasse al più ambizioso traguardo di 1,5 gradi. Certo, al netto delle responsabilità storiche che gravano sui Paesi occidentali e sugli Stati Uniti (da non dimenticare), la situazione attuale appare altrettanto chiara. La Cina, prima per ampio distacco in questa classifica, emette il doppio degli Usa (14 miliardi contro 7), che sopravanzano comunque Ue, India, Russia e Giappone. La graduatoria pro-capite è ancora più illuminante: qui gli «inquinatori» sono i cittadini statunitensi (20 tonnellate di CO2 ciascuno) sopra i russi (16) e i giapponesi (11). Ma a colpire è la crescita dai primi anni Duemila dei cinesi. Oggi ogni cittadino della Repubblica Popolare «emette» più CO2 di un cittadino europeo (un po’ meno di 10 tonnellate). La soluzione al «desolante» quadro dell’Onu va dunque trovata lì. Tra Trump e Xi Jinping.