Corriere della Sera, 27 novembre 2019
Intervista al candidato dem Usa Pete Buttigieg
Pete Buttigieg è il candidato del momento. Lo abbiamo seguito e intervistato nel corso di una lunga giornata di town hall, incontri e conversazioni con gli elettori dell’Iowa. Da qui il 3 febbraio prossimo partirà la sequenza dei voti per le primarie democratiche in vista della Convention di Milwaukee, in Wisconsin, dove dal 13 al 16 luglio i delegati sceglieranno lo sfidante di Donald Trump.
Buttigieg, 37 anni, è il più giovane dei 19 pretendenti. Dal 2011 è sindaco della cittadina in cui è nato, South Bend, nell’Indiana. Si è laureato ad Harvard e ha studiato al Pembroke College di Oxford, in Gran Bretagna. Suo padre, Joseph, originario di Malta, è stato uno degli studiosi più importanti di Antonio Gramsci. Ha tradotto la prima edizione in inglese dei Quaderni dal Carcere; ha fondato con altri l’International Gramsci Society. È morto nel gennaio scorso.
Quando si inizia a parlare con Buttigieg, in effetti, sembra di riconoscere tracce gramsciane, «i valori condivisi», la «centralità della cultura»: «Dobbiamo ricostruire il Paese sulla base dei nostri valori. Il patriottismo, che non è il bieco nazionalismo di Trump, ma la cura e il rispetto di una terra che appartiene a tutti, che non fa differenze di razza, genere, reddito, orientamento sessuale. La democrazia intesa non semplicemente come un sistema istituzionale, ma come il valore dell’inclusione. La libertà, l’istruzione che ci consentono sempre di scegliere».
Sono venuti in tanti ad ascoltarlo prima in un centro sportivo (Ymca) di Creston, poi in un ritrovo per la comunità di Atlantic e infine nella grande palestra della Abraham Lincoln High School di Council Bluffs. Sembra un eretico in pieno territorio trumpiano. «Ma io mi rivolgo innanzitutto ai moderati, agli indipendenti e a quelli che chiamo i futuri ex repubblicani», spiega Buttigieg. La platea lo applaude, si scalda più per i passaggi in cui richiama «il nostro senso di appartenenza» che per le proposte tecniche, dettagliate alla Elizabeth Warren.
Per ora i sondaggi, almeno qui in Iowa, gli stanno dando ragione. Secondo la media delle rilevazioni elaborata dal sito RealClearPolitics è in testa con il 24%, seguito da Bernie Sanders al 18,3%,Warren al 17% e Joe Biden al 16,3%. Commenta: «È un segnale che il nostro messaggio comincia a circolare tra le persone. Ma so che la strada è molto lunga». Lunga e, da qualche giorno, con un avversario temibile in più, il miliardario Michael Bloomberg: «Beh, mi fa piacere vedere un altro sindaco in corsa. Ma penso che il nostro messaggio sia quello più adatto per l’America in questo momento». Sì, ma come si fronteggia un’offensiva elettorale da 100 milioni di dollari? «Stiamo costruendo un movimento di massa. Alla fine penso conteranno più le idee». Vediamole, allora, queste «idee». Buttigieg prende le distanze dal modello Warren, centrato sulla forte tassazione dei grandi patrimoni: «Certo, i più ricchi dovranno versare un contributo più equo al fisco, ma non sarà un pesante aumento delle tasse a creare posti di lavoro. Dobbiamo puntare, invece, a far salire i salari, portando il compenso orario minimo a 15 dollari a livello federale». Il suo programma prevede massicci investimenti nell’innovazione tecnologica, nelle energie rinnovabili, oltre che nella scuola pubblica. Lo Stato dovrà garantire una copertura sanitaria universale, ma lascerà ai cittadini la scelta tra formula pubblica o privata. Un sistema misto: la leva per smuovere i trumpiani delusi, ma spaventati, a torto o a ragione, dal «socialismo» di Warren e Sanders.
L’altro elemento chiave è «l’inclusione». La carica innovativa di Buttigieg sta proprio nel tentativo di mettere insieme prudenza economica, fede cristiana nonché massima libertà personale e sociale. Pete è un gay dichiarato dal 2015. L’anno scorso ha sposato un insegnante, Chasten Glezman, 30 anni. Ora ha trasformato la sua esperienza nel paradigma di una «società inclusiva». Qualche settimana fa Romano Prodi ha innescato una polemica più o meno con queste parole: la sinistra ha fallito perché ha pensato più ai gay che agli operai. Buttigieg reagisce con una battuta: «Beh, messa così sembra che i gay non lavorino». Piccola pausa e riprende: «Guardi, questo deve essere il momento della solidarietà tra tutte le persone o le comunità che stanno soffrendo forme diverse di esclusione. Queste persone e queste comunità non hanno interessi contrastanti, ma sovrapponibili: tutti vogliono costruire un futuro di prosperità, di dignità e di eguaglianza. È il tema urgente di oggi che tocca l’America, ma credo anche l’Europa e il resto del mondo».
Come tutti i politici americani, con l’eccezione vistosa forse del solo Sanders, anche Buttigieg è convinto che gli Stati Uniti siano la guida naturale della civiltà mondiale. Un pensiero rafforzato dalla sua carriera militare da riservista e quindi compatibile con la carica di Sindaco. Fino al 2017 ha fatto parte della Riserva della Marina, come ufficiale di intelligence. Unica parentesi operativa nel 2014, sette mesi dislocato in Afghanistan. Pochi o tanti che siano, se li fa bastare per presentarsi anche come un consumato veterano di guerra. Gli chiediamo quale sia stato l’errore più grave di Trump nella politica estera e se ci sia almeno una cosa che condivide. «Questo presidente ha sistematicamente rovinato i rapporti con i nostri alleati. Mi risulta difficile indicare un solo errore o anche dieci. Probabilmente il peggiore di tutti, quello più carico di gravi conseguenze è stato il recente tradimento dei curdi, nostri partner in Siria. Dall’altra parte anch’io sono convinto che la Cina rappresenti una sfida molto seria. Ma non sono per niente d’accordo con la strategia seguita dal presidente. Gli Stati Uniti devono sollevare con grande determinazione il tema dei diritti umani con i cinesi. Non possiamo tacere su quello che sta accadendo a Hong Kong o alla minoranza musulmana (gli Uiguri, ndr) chiusa nei campi di concentramento. Dovremmo portare questi problemi al tavolo delle trattative sul commercio».