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 2019  novembre 27 Mercoledì calendario

Biografia di John Galliano


John Galliano, nato a Gibilterra il 28 novembre 1960 (59 anni). Stilista • «Il Napoleone della moda» • «Eclettico, anticonformista, rivoluzionario» • «Sicuramente uno dei più grandi stilisti della storia» (Elisa Rossi, Esquire, 2/7/2018) • «Le creazioni di G. sono contraddistinte da eccentricità, sofisticata ricerca del taglio e riferimenti alle mode del passato […] Amante di una femminilità teatralizzata, quasi barocca, è solito fondere differenti ispirazioni folk catturate nei suoi viaggi intorno al mondo» (Treccani) • È diventato famoso a metà anni Novanta quando, collaborando con la LVMH di Bernard Arnault, ha disegnato le collezioni del marchio Givenchy e poi, dal 1996, quelle di Dior • «Che noia la semplicità, spesso sono proprio le cose di cattivo gusto ad essere le più divertenti» (lui) • «“Io sono il look”, ha detto con tono perentorio. Presuntuoso? Forse. Ma è soltanto un aggettivo in più che si aggiunge ai “maleducato”, “bizzarro”, “imprevedibile”, “inaffidabile” che la stampa ha spesso usato per descrivere il personaggio […] Le sue incredibili mises ogni volta diverse, che fanno di lui un Fregoli della moda, accompagnate da acconciature sempre rigorosamente in sintonia con gli abiti, nascondono una ricercatezza da dandy londinese influenzato dallo spirito parigino, trasudano dell’innato snobismo di un lord, svelano un’attenzione parossistica, maniacale, al dettaglio, e rivelano una straordinaria propensione al trasformismo […] il suo look è comunque sempre calcolato, sempre studiato. Le bandane, i cappelli, le acconciature rasta o quelle alla Greta Garbo, i baffetti alla Clark Gable, l’orecchino da pirata, le unghie dei piedi laccate di rosso che spuntano da un paio di zoccoli del dottor Scholl’s: nulla è frutto di un accostamento casuale» (Donatella Bogo, Sette, n. 37/2000) • «Nel 2011 arriva l’apparente declino: visibilmente ubriaco rivolge insulti antisemiti a una coppia in un bar parigino, viene licenziato da Dior e successivamente decide di andare in rehab per risolvere i suoi problemi di tossicodipendenza. L’atteso ritorno alle scene arriva nel 2014 quando viene nominato direttore creativo della Maison Martin Margiela» (Federico Poletti e Filippo Solinas, Elle, 27/9/2018) • «Qualsiasi cosa faccio, la faccio fino allo sfinimento. Non importa se si tratta del lavoro, della palestra o di altre cose che non voglio nemmeno nominare».
Sfilate Famose perché le organizza secondo un tema: antico Egitto; Internet; marinai; fluidità sessuale; suore incatenate; barboni, e così via.
Vita Primo figlio maschio dopo due femmine. Madre spagnola, ballerina di flamenco, padre idraulico • «Sono stufo marcio di veder scritto in ogni articolo che mio padre era un idraulico. La gente, parlando di me, dice sempre che sono figlio di un idraulico. Ma io sono soprattutto il figlio di mio padre. Il lavoro che faceva è stata una sua scelta, e lo faceva molto, molto bene» • «Tra me e mio padre era tutto molto latino, molto complicato…» • Il suo primo ricordo è un’acqua di colonia per bebè: «Si chiamava Nenuco e sapeva di agrumi. In Spagna la portavano tutti i bambini» (a Maria Grazia Meda, Vogue, 8/11/2018) • La sua famiglia vive a Gibilterra: «Per andare in Spagna, dovevi prendere la barca perché il confine era chiuso. Bisognava passare per Tangeri: mi ricordo il mercato, gli odori, i colori, la gente. Tutto molto eccitante. Romantico. Latino. Quando ci siamo trasferiti a Londra mia madre ha portato tutto questo con noi. Mi ha insegnato il flamenco; ballavamo sui tavoli e facevamo rumore. Lei ha avuto una grande influenza sul modo in cui guardo il mondo e il modo in cui vesto la gente […] Ci vestiva meglio che poteva, eravamo sempre lavati, pettinati, impomatati e profumati. Una cosa molto spagnola» • «Sono stato maltrattato da mio padre e oggetto di bullismo a scuola perché omosessuale. Non avevo via di scampo. Così mi sono inventato un mondo di fantasia che è stato la mia forma di difesa» • «Quando ripenso alla mia giovinezza, mi dico che avrei voluto avere la forza di essere me stesso, invece di fingere di essere un altro. È importantissimo» • «Galliano andava in una scuola maschile a Londra e voleva studiare lingue. E invece, venne fuori che aveva talento per il disegno. “Mi hanno consigliato di fare domanda per una scuola di moda, tipo la Saint Martin. Non ero mai stato in un ambiente del genere: fu una liberazione”» (Michael Spencer, The Guardian, 30/11/2003) • Per guadagnarsi da vivere, durante gli studi, lavora come costumista al National Theatre: «Mi ha aiutato a formare il senso del dramma, delle maschere, degli abiti – del modo in cui la gente si veste […] Ho lavorato con Judi Dench, con Sir Ralph Richardson, mi hanno insegnato tutto sui corpi e i vestiti. E su come avere padronanza dello spazio» • John vive appieno la vita notturna di Londra degli anni Ottanta. Frequenta il Taboo, una discoteca in Leicester Square dove, secondo un avventore, «era normale trovare corpi distesi sulla pista da ballo e non capire se erano in overdose o stavano facendo qualcosa di brutto... niente era troppo in là, né dal punto di vista chimico, né da quello carnale» • «Le energie creative dal mondo del cinema, dal mondo della musica… finiva tutto per fondersi il giovedì sera» (lui) • Nel 1984, per diplomarsi, John organizza la sua prima sfilata • «La mia ragazza faceva la modella per John e quando sfilò sulla passerella aveva tre rami che le uscivano dalla testa e sventolava uno sgombro. È dura scioccarmi, eh. Ma ricordo di aver pensato: chi diavolo è questo tizio?» (il dj Jeremy Healy, che poi divenne suo amico) • «Conclude il suo ciclo di studi […] con la collezione Les Incroyables ispirata alla rivoluzione francese, che fu un successo, tanto da spingere la prestigiosa boutique londinese Browns ad acquistarla in toto. Sulla scia di questo successo dopo appena un anno dall’esordio fonda il suo marchio portando avanti dalla prima sfilata la sua idea di moda stravagante e ribelle» (Poletti e Solinas) • Lavora tutta la settimana, a tempo pieno. Poi, il giovedì sera, continua ad andare al Taboo: «Tutti i ragazzi negli anni Ottanta prendevano droghe. Era un nuovo movimento romantico, sono contento di averlo fatto […] Entrare in quel locale diventava sempre più difficile, e più diventava difficile, più diventava esclusivo e la gente voleva andarci» • Nel 1987 vince il premio come stilista britannico dell’anno, «le porte della moda sono già spalancate» (Rossi) • «Voglio che la gente si concentri sulla sfilata, che dimentichi il lavoro, le bollette, tutto. Quando un uomo vede una donna con uno dei miei vestiti, vorrei dicesse a se stesso: “Voglio scoparmela”» • «La sua visione sopra le righe degli esordi però non viene accompagnata da una buona strategia commerciale e costa al Napoleone della moda la bancarotta nel 1990» (Rossi) • Galliano non ha un soldo ed è assillato dai creditori. Trova espedienti per non pagare l’affitto, dorme in uno scantinato, e cerca rifugio nella vita notturna • «Quando le cose andavano male, John non riusciva a fare nient’altro. Andavamo a ballare fino all’alba tutte le sere, era da pazzi. Io gli dicevo che doveva fare vestiti più vendibili, che potessero andare in un negozio. Lui si è sempre rifiutato» (Healy) • «Devo andare a Parigi, qui sono bloccato» • «Galliano arrivò a Parigi nel 1990, era un punk squattrinato, famoso per il suo talento e per essere dedito agli eccessi. All’epoca, molti stilisti lavoravano influenzati dal minimalismo simil-giapponese. Gli anni Ottanta erano finiti […] Le modelle indossavano abiti scuri poco lavorati, camminavano in silenzio lungo la passerella, si giravano, tornavano indietro e tutto finiva lì. Galliano era sconvolto. Lui pensava alle sfilate come Steven Spielberg pensa ai film. Credeva nello spettacolo, nell’intreccio, nella suspense» (Spencer) • «Ha una bella immaginazione, ma non so se sa come si fanno i vestiti» (Valentino) • «Adatto a un circo» (Yves Saint-Laurent) • Eppure, Galliano ha fortuna. A metà degli anni Novanta, Bernard Arnault, il capo della multinazionale che possiede, tra gli altri, i marchi Louis Vuitton, Moet, Hennessy e Christian Dior, decide che vuole svecchiare la linea di vestiti da donna Givenchy e affida il compito a lui • «Galliano divenne il primo stilista britannico a comandare in una casa di moda francese da quasi 150 anni. Sarebbe stato difficile comunque, per gli alti papaveri della moda parigina, accettare la nomina di uno straniero per la casa famosa per aver vestito Audrey Hepburn. Ma John Galliano? Quell’inglese appariscente che se ne va in giro per discoteche e veste come un pirata, con la sua bandana, i suoi baffi e i capelli lunghi fino alle spalle? […] tempo un mese dal suo arrivo a Givenchy, e Galliano sconvolge tutti perché restituisce i vestiti con le istruzioni su come rifarli meglio, più eleganti: le sue note dicevano solo: “Più stretto. Più piccolo. Più stretto. Più piccolo. Più stretto. Più piccolo”, senza aggiungere altro […] “Volevo liberare le donne dai corsetti e dalle grosse gonne di taffetà”. L’anno dopo, Galliano era già seguito dalla stampa come fosse una guerra. I cronisti si presentavano a casa dei suoi […] Più volte i giornali scrissero che il suo licenziamento era imminente, più volte Arnault mandò loro una smentita» (Spencer) • Anzi, a lui piace così tanto che lo mette a capo di Dior, la casa più famosa del mondo assieme a Chanel, simbolo dello stile e della qualità francese, campagne pubblicitarie da milioni di dollari, e mille dipendenti da seguire • «“Dior ha fatto per la moda francese quel che fecero i tassisti di Parigi durante la battaglia della Marna” […] Nel 1949, Dior produceva il 75% degli abiti parigini venduti all’estero e valeva il 5% di tutte le esportazioni francesi. Arnault aveva creato un tesoro nazionale» (Spencer) • «È Dior, sant’Iddio, Dior!» (il giornalista di moda Leon Talley) • E così, Galliano è passato da dover dormire sul pavimento in casa di amici a essere ricchissimo. Guadagna in un mese quel che suo padre ha guadagnato in tutta la vita. Ha due personal trainer che lo seguono costantemente, ha sostituito l’ossessione per la vita notturna con quella per la forma fisica. Dietro le quinte delle sfilate ha un assistente che gli porge le sigarette e un altro che gliele accende • Lui stesso usa il suo nome come aggettivo. Dice, per esempio, «Un oggetto molto John Galliano», intendendo, «un misto tra raffinato e selvaggio» • «Provocatore e perennemente in controtendenza […] ha portato in passerella bellezze diverse e contrastanti prima ancora che diventasse un trend. Tra le punte di diamante delle sue provocazioni si identifica la sfilata clochard dove viene rappresentata l’anima dei celebri senzatetto parigini. Il risultato è scandaloso, una folla di persone appartenenti ai più diversi mondi protestano sulle strade di Parigi. Galliano di conto suo riesce ancora una volta a raggiungere la spettacolarità ambita. L’operato del designer tuttavia non si ferma qui: il fortissimo successo mediatico ottenuto è supportato dalle sue muse e da campagne pubblicitarie storiche. Come non ricordare Carmen Kass che si immerge in una piscina d’oro nello spot del profumo J’adore? Oppure Eva Green vestita interamente di Swarosky per il lancio di Midnight Poison? O ancora l’aggressivo déshabillez di Charlize Theron in un corridoio parigino?» (Poletti Solinas) • «Il lavoro veniva davanti a tutto, anche alla salute, e questo è da pazzi» • «Un periodo terribile, che Galliano definisce il culmine di anni di abuso di alcol e droga, aggravati dalla pressione di dover creare. Era “schiavo” del proprio successo, e dice: “Il processo creativo è divorante, ed è qualcosa che ho in me, uno dei molti difetti di carattere che devo tenere sotto controllo”» (Croft) • «Nel 2011 l’abuso di sostanze si fa sempre più grave e viene reso pubblico un video dove Galliano rivolge insulti antisemiti a una coppia in un bar nel Marais di Parigi» (Poletti) • « … dovevate fare la fine dei vostri padri… io lo amo Hitler» • Dior lo licenzia. Perde anche il marchio John Galliano, di cui Dior era azionista al 91%.
Il riscatto «Quando ho lasciato il mio lavoro precedente non sapevo neppure come scrivere una mail o usare un telefonino perché ci pensavano sempre gli altri» • Decide di ripulirsi, va in Arizona in un centro per curare le dipendenze, poi in Svizzera, poi nella sua casa di campagna in Francia. Frequenta gli alcolisti anonimi a Parigi, diventa discepolo del rabbino americano Barry Marcus e chiede aiuto ai monaci Shaolin, padri del Kung fu: «Volevo imparare a meditare e a fermare le voci nella mia testa. Loro mi hanno detto che la mia forma di meditazione era il processo creativo. In pratica, quindi, medito da quando sono uscito dalla scuola d’arte» • Dal 2014 trova un nuovo lavoro: «una nemesi: niente multinazionali del lusso, ma un luogo senza un logo, una maison che per propria volontà nasconde il volto dello stilista. È la Maison Martin Margiela, tempio dell’anonimato fondato dall’omonimo designer belga che oggi vive come un fantasma, invisibile a tutti ma presente in tantissime copie. “Chi l’avrebbe detto? Io al posto di Martin, un amico, un collega eccezionale con cui ho diviso lo studio, all’inizio delle nostre carriere”» (Simone Marchetti, la Repubblica, 6/2/2017) • «Ho passato la vita a spingere me stesso e gli altri oltre i limiti, in nome della moda. Ora basta, voglio solo essere un creatore di vestiti».
Vita privata Il suo compagno è lo stilista Alexis Roche, suo collaboratore.
Giudizi «Noi facciamo vestiti, John fa delle magie» (la stilista Diane von Furstenberg)
Medaglie Commendatore dell’Ordine dell’Impero Britannico; Legione d’Onore (ritirata dopo la storia di Hitler e gli ebrei).
Curiosità L’unico vizio che gli è rimasto è il fumo. Ha uno portasigarette e un accendino d’oro • Il suo vero nome è Juan Carlos Antonio ma lo ha inglesizzato • Va in palestra e corre all’alba tutti i giorni • In ufficio, in un convento settecentesco che ospita la sede di Margiela a Parigi, tiene uccelli impagliati • Da sempre molto stacanovista («Quando faccio le prove e drappeggio i tessuti, non mi accorgerei neppure di un incendio. Posso finire anche alle cinque del mattino»), ma quando è morto il padre, nel 2003, senza dirlo a nessuno è volato a Gibilterra nel bel mezzo di una sfilata per seppellirlo • Ora comunque ci va più piano: «Adesso capisco perché la gente comincia a lavorare alle 9. Un tempo, a quell’ora, io smettevo» • A colazione prende tè verde, frutta di stagione e porridge con latte di mandorla • «Lavoro con ragazzi giovanissimi, ammiro la potenza dell’informazione e della conoscenza a cui sono soggetti. Mi spaventa, però, la dipendenza che like, commenti e attività virtuali generano. Sono stato dipendente da droghe e riconosco le scariche di dopamina che generano i social e quel febbrile bisogno di guardare costantemente il proprio cellulare. È un problema che dobbiamo considerare con grande attenzione, un mezzo che non sappiamo ancora governare con piena coscienza […] La moda, come tutto il resto, sta reagendo alla rivoluzione con un abbassamento della qualità e una rinuncia all’autorevolezza. La tentazione è adeguarsi alla superficialità, al populismo. Questo mestiere, invece, è frutto di cambiamento di forme e volumi, non di furbizie dell’immagine. Questa scommessa sull’autorevolezza, a mio parere, premierà sul lungo termine tutti, non solo la moda. Oggi sembra rischioso investire sulla profondità perché tutto procede nella direzione opposta. Il mio consiglio, però, è di crederci fino in fondo, senza se e senza ma».
Titoli di coda «Nelle mie ultime collezioni ho introdotto la nozione “dress in haste”, il gesto di vestirsi in fretta e mixare senza pensarci troppo, creando dei look come degli happy accidents. In fondo la vita è fatta di “incidenti felici” ed è bella così, no?».