La Stampa, 27 novembre 2019
Catturare la Co2
Se state tossendo dopo una camminata in città e gli occhi si arrossano, maledirete i gas e le polveri sottili. E vi chiederete, ingenuamente, se non sia possibile ripulire un po’ l’aria, come si farebbe spazzando un terreno cosparso di rifiuti o un fiume ingombro di detriti.
Mentre il prurito in gola vi tormenta, la buona - e sorprendente notizia - è che qualcuno ha già pensato la stessa cosa. E, anzi, la sta tramutando in realtà: se l’atmosfera continua a sporcarsi, è possibile liberarla dall’aggressione della CO2, l’imputato numero uno di quegli sconvolgimenti che, in modo perfino pudico, continuiamo a chiamare «cambiamenti climatici».
Lo scienziato che ha deciso questo cambio di passo e di costringerci a uno sguardo alternativo sui disastri ambientali di cui siamo responsabili si chiama Peter Wadhams. Lui non si limita agli allarmi a ripetizione dei dati: alle evidenze delle ricerche e dei modelli intreccia le visionarie soluzioni dell’hi-tech e - questo è il punto - vuole spingerci all’azione. Lo fa con la nuova edizione del best-seller «Addio ai ghiacci», edito in Italia da Bollati Boringhieri, e con il docu-film «Ice on fire» finanziato da Leonardo di Caprio. «Qualcuno sostiene che la tecnologia stia distruggendo la Terra, ma è proprio il futuro del Pianeta a essere nelle mani della tecnologia», dice strizzando gli occhi e sospirando. Professore emerito di fisica oceanica e già capo del «Polar Ocean Physics Group» nel dipartimento di matematica applicata e fisica teorica dell’Università di Cambridge, è considerato uno dei maggiori oceanografi al mondo, con un impressionante curriculum che comprende, tra l’altro, un quarantennio di spedizioni ai Poli. Adesso è arrivato al Politecnico di Torino in qualità di «visiting professor» e il nuovo incarico sta materializzando proprio le sue idee e il suo impegno: il nuovo indirizzo «Climate change» della laurea magistrale in ingegneria per l’ambiente e il territorio è il primo - e unico - corso in Europa dedicato ai cambiamenti climatici in chiave tecnico-ingegneristica.
«Dobbiamo sbarazzarci delle 40 gigatonnellate di CO2 che ogni anno buttiamo nell’atmosfera e che non fanno che aumentare - spiega -. Ora non abbiamo altra scelta, dal momento che gli impegni per la riduzione delle emissioni sono falliti: nel 2015, subito dopo l’Accordo di Parigi, la promessa sembrava realizzarsi, ma poi gli Usa si sono ritirati, il Brasile ha ripreso la deforestazione e ogni nazione ha cominciato a procedere in ordine sparso». Si ferma un momento e aggiunge: «Un colossale disastro». Ma, inseguendo il filo dei pensieri, Wadhams si dice «pessimista e ottimista allo stesso tempo».
L’ottimismo nasce dai veloci progressi della tecnologia. «Sappiamo che rimuovere la CO2 è possibile, per quanto il compito sia gigantesco». Esistono, infatti, impianti-pilota che stanno realizzando quella che appare come una stupefacente metamorfosi: «Alcuni pompano la CO2 sottoterra e la imprigionano, altri la trasformano in sabbie e rocce artificiali, ideali per l’industria edile, e altri ancora la convertono in biocombustibili». Un esempio di questa terza opzione - dice compiaciuto - si chiama «Store&Go» ed è made in Italy. La struttura si trova in provincia di Foggia e vanta una partnership con il Politecnico di Torino: fatta reagire con l’idrogeno, la CO2 diventa metano. «Ecco l’esempio di un’idea brillante, che va ben oltre gli stessi obiettivi del panel Ipcc dell’Onu».
Tutta questa tecnologia, che si sperimenta in varie zone del globo, dall’Islanda alla California, ha lo straordinario vantaggio di un’ulteriore metamorfosi: ribalta un problema - il Problema - in un’opportunità e, creando nuovi business, apre la strada a un’industria di nuova generazione, utile e pulita, oltre che dalle enormi potenzialità. «Solo così ci sbarazzeremo di tutta la CO2 in eccesso, tornando ai livelli pre-industriali: da 410 parti per milione a 300. Allora il Pianeta si raffredderà davvero. Dobbiamo farlo. Per la salvezza nostra e della nostra civiltà».