Maria Antonietta Calabrò per il “Fatto quotidiano”, 26 novembre 2019
I MISTERI DEL CASO MORO - LA COMMISSIONE HA DIMOSTRATO CHE NEL RAPIMENTO E UCCISIONE DI ALDO MORO NON ERANO COINVOLTE SOLO LE BRIGATE ROSSE - L’APPUNTO DELLA STASI, LA CASA DELLO IOR IN CUI FU PORTATO MORO, UNA "FONTE RISERVATA" CHE AVVERTÌ IL COMANDANTE DELLA FINANZA, RAFFAELE GIUDICE - IL CONDOMINIO DI VIA MASSIMI 91, DOVE FU TENUTO IL SEGRETARIO DELLA DC, E I SUOI STRANI INQUILINI… -
La STASI, il potente servizio segreto della defunta Repubblica democratica tedesca, in un appunto dell' 8 giugno 1978, pubblico dal 2014, metteva in evidenza le somiglianze dell'intera azione brigatista con la notissima vicenda del rapimento dell' industriale Hanns-Martin Schleyer, compiuta dalla RAF (Rote Armeee Fraktion) alla fine del 1977, e segnalava una possibile "prigione del popolo" vicina al luogo del sequestro, via Fani.
La STASI era particolarmente ben informata visto che, secondo il suo leggendario capo Markus Wolf, la RAF (che oggi sappiamo essere stata presente con almeno due terroristi sulla scena di via Fani), era nelle sue mani. Se oggi questa "prigione" - la prima e più importante - è stata "scoperta", si deve ai lavori parlamentari della scorsa legislatura. Era in via Massimi 91. Ne parlo in più capitoli del libro che ho scritto a quattro mani con Giuseppe Fioroni, Moro, il caso non è chiuso, la cui seconda edizione è stata pubblicata in occasione del trentesimo anniversario della caduta del Muro di Berlino.
I riscontri sono stati trovati negli atti desecretati a partire dal 2014, e hanno portato a individuare questa prigione in un miniappartamento ricavato nell'attico della palazzina B di via Massimi 91, di proprietà allora dello IOR , la cosiddetta banca vaticana. Un attico che ha un' altra caratteristica: era allora sicuramente l' appartamento più alto di Roma. Quindi vista libera, nessun occhio indiscreto e la possibilità per Moro di poter stare all'aria aperta e di muoversi (tanto che il suo tono muscolare era buono e quindi incompatibile con una lunga detenzione su una brandina in via Montalcini).
Oggi sappiamo che una "fonte riservata", già il giorno successivo al sequestro, il 17 marzo 1978, aveva avvertito il comandante della GdF Raffaele Giudice, che "le 128 dei brigatisti sarebbero state parcheggiate in un box o garage nelle immediate vicinanze di via Licinio Calvo", presso una base situata a un piano elevato, con accesso dal garage mediante ascensore, una tipologia di edilizia residenziale signorile e moderna.
Grazie alla collaborazione del Comando della GdF, sono stati acquisiti dalla Commissione Moro, presieduta da Fioroni, tutti i documenti che riguardavano la localizzazione di questo covo-prigione. Le palazzine erano gestite dal padre di don Antonio (che le Br scelsero come interlocutore e mediatore con la famiglia Moro), Luigi Mennini, all' epoca ai vertici dello IOR . Gli accertamenti sviluppati dalla Commissione Moro 2, a partire dal 2015 hanno dimostrato che mai, dal 1978 a oggi, era stato svolto un serio lavoro investigativo sui condomini di via Massimi 91.
Un miniappartamento nell' attico della Palazzina B Nel complesso di via Massimi 91, tra il 1977 e il 1978, furono fatte modifiche che sono state oggetto di recenti approfondimenti. Nell' attico della Palazzina B fu realizzata una camera compartimentata, costruita sul terrazzo e appoggiata a uno dei muri perimetrali. Situata nella zona di servizio, la stanza poteva ospitare un eventuale soggetto temporaneamente custodito nella "cameretta" con gli spazi e i servizi di un vero e proprio miniappartamento.
E ciò combacia con quanto descritto in un appunto del 28 settembre 1979 dal generale Grassini (Sisde), in cui fa riferimento a un' intercettazione ambientale di una conversazione tra detenuti, "uno dei quali di alto livello terroristico": "Non gli hanno mai messo le mani addosso", "Non gli è stato torto un capello"; Moro otteneva tutto ciò di cui "aveva bisogno, si lavava anche quattro volte al giorno, si faceva la doccia, mangiava bene, se voleva scrivere scriveva []".
Si torna sempre sul luogo del delitto Le indagini compiute tra il 2014 e il 2017 hanno consentito di identificare per la prima volta due persone, allora conviventi in via Massimi 91, hanno esplicitamente ammesso di aver ospitato per alcune settimane, nell' autunno 1978, Prospero Gallinari il carceriere di Moro in un'abitazione sita in quello stesso condominio.
Non è un caso se Gallinari entrò in quella abitazione in un periodo in cui la caduta della base di via Monte Nevoso a Milano e di altri covi brigatisti dovette indurre a cercare sistemazioni più sicure per il carceriere di Moro.
CHECKPOINT CHARLIE IN VIA MASSIMI All’interno del complesso di via Massimi 91, oltre quella degli alti prelati vaticani (tra cui Marcinkus) , la Commissione Moro 2 ha riscontrato altre presenze. Vi abitava la giornalista tedesca Birgit Kraatz, corrispondente in Italia dei periodici tedeschi Der Spiegel e Stern, a quel tempo legata a Franco Piperno, il leader di Autonomia Operaia. Nella palazzina c' era poi la sede operativa di una società statunitense, la Tumpane Company (TumCo), con sede legale negli Stati Uniti e domicilio fiscale proprio in via Massimi 91.
Ha cessato le proprie attività nel 1982, ma dal 1969 forniva assistenza alla presenza Nato e statunitense in Turchia, ed esercitava anche attività di intelligence per l'organismo informativo militare statunitense. Vivevano o lavoravano in via Massimi 91 anche diversi personaggi legati alla finanza e ai traffici tra Italia, Libia e Medio Oriente. Come Omar Yahia che mise in contatto con il Sismi la fonte Damiano, particolarmente informata sulle dinamiche terroristiche palestinesi.
Il rapimento e l'omicidio di Aldo Moro, quindi non appaiono come una vicenda puramente interna all' eversione di sinistra, ma acquisiscono una rilevante dimensione internazionale, che i brigatisti hanno sempre negato. Roma a quei tempi, come Berlino, era occidentale per tre quarti e orientale per un quarto. Era in via Massimi 91 il Checkpoint Charlie della capitale italiana?
Tutti gli atti e la documentazione raccolti dalla Commissione Moro 2 sono stati desecretati a eccezione degli atti prodotti dai magistrati o dagli ufficiali di Polizia giudiziaria consulenti della Commissione che hanno esplicitamente chiesto di mantenere la documentazione segreta, in quanto si tratta di indagini ancora in corso di approfondimento. Infatti "il caso non è chiuso".