Linkiesta, 26 novembre 2019
Ci stanno consegnando ai russi e ai cinesi
lI ministro degli Esteri Luigi Di Maio visita solennemente Valguarnera Caropepe, in provincia di Enna, anziché partecipare ai vertici internazionali a meno che non si svolgano nella Cina popolare, nel qual caso in delegazione si porta pure le arance siciliane. Di Maio ripercorre il notorio schema dell’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini, il quale preferiva il Papeete ai summit europei a meno che non si svolgessero nella Grande Madre Russia, nel qual caso si metteva pure il colbacco. Salvini disertava anche le riunioni per modificare il Trattato di Dublino, firmato da un precedente governo di cui faceva parte la Lega, le stesse in cui si discuteva come cambiare le regole dell’accoglienza e della solidarietà continentale sugli immigrati che, tra un mojito e un tweet, il Capitano fingeva di voler cambiare.
Beppe Grillo, invece, entra ed esce dall’ambasciata cinese a Roma, nel weekend due volte nel giro di 24 ore, con la stessa facilità con cui gli hacker penetrano la piattaforma Rousseau. La Casaleggio armeggia con Huawei che ha occhi solo per il G5, mentre l’ex sottosegretario cinese al Mise italiano, Michele Geraci, rassicura in mandarino sul memorandum d’intesa che più che sulla via della seta sembra della carta vetrata per le infrastrutture strategiche del nostro paese.
Il Venezuela della tragedia chavista non si porta più, ma fino a quest’estate, mentre i leghisti erano di casa al Metropol di Mosca, i grillini ne erano gli unici sponsor in occidente, da Alessandro Di Battista a uno dei vice di Di Maio alla Farnesina, Manlio Di Stefano. Di Battista e Di Stefano è lo stesso collaudato duo che si è ispirato al Cremlino per scrivere il programma di politica estera dei Cinque stelle, salvo poi farlo sparire nella notte precedente il primo accordo di governo perché troppo imbarazzante perfino per loro, anche se non per Salvini che col partito se non unico perlomeno raro di Putin invece ha siglato un vero patto politico da movimento valvassore. Questa solerte alternanza di turni tra leghisti e grillini per fare la claque a Mosca ha pagato politicamente, perché Mosca non è come Milano, Mosca restituisce.
Di Stefano ha scritto accorati articoli sul sacro blog in difesa dell’annessione russa della Crimea e delle presunte manipolazioni americane, mentre Dibba ha spiegato che Trump è meglio di Obama.
Le vicende estere dei populisti di casa sono imbarazzanti, se solo l’imbarazzo fosse ancora motivo di disagio
Tutti insieme, grillini e leghisti, si sono genuflessi davanti a Putin ospitato a Roma con gli onori riservati ai grandi statisti, con tanto di spazio aereo chiuso e strade eccezionalmente fatte pulire da Virginia Raggi che da allora si è messa in ferie per il troppo lavoro. Di Battista non si è perso un regime autoritario del Sudamerica e per completare il grande slam ora si dedica agli ayatollah iraniani. Di Stefano, invece, è un professionista di tutte le Russie: alla Farnesina ha ospitato i rappresentanti della Bielorussia, uno dei regimi meno liberi del mondo secondo Freedom House, invocando «profondi legami di solidarietà e amicizia tra i due popoli», ma basta vedere sui suoi social come gli brillavano gli occhi durante le visite in Kazakistan, dove salutava gli studenti locali di una scuola italiana come una specie di Borat nostrano in un improvvisato “studio culturale sull’Italia a beneficio della gloriosa nazione del Kazakistan”.
Le vicende estere dei populisti di casa sono imbarazzanti, se solo l’imbarazzo fosse ancora motivo di disagio. C’è la corte serrata ai nazionalisti ungheresi, a quelli polacchi, ai gilet gialli e a qualsiasi fuori di testa di estrema destra del nord Europa, sia da parte di Di Maio sia da parte di Salvini. Senza dimenticare la retorica da operetta autarchica contro gli storici alleati dell’Italia, la Francia e la Germania, e poi i piani A (referendum, Cinque stelle) e B (operazione Savona, Lega) per uscire dall’Euro, le provocazioni di Borghi e Bagnai per accendere la miccia e che ci sono costate miliardi, le accuse strampalate ai tedeschi e agli olandesi di aver attaccato l’Italia con Carola Rackete, le bufale sul Franco cfa di Di Battista e, da ultimo, anche quelle sul fondo salva stati che secondo Salvini, che da vicepremier ha promosso la riforma ora contestata, sarebbe un’istituzione privata di Bruxelles costituita per mettere le mani nei conti correnti degli italiani al fine di salvare le banche tedesche.
Di fronte a queste menzogne ripetute sapendo di mentire non c’è un rimedio praticabile. Non si tratta di avere opinioni diverse, che sarebbero legittime e auspicabili, qui abbiamo i due principali partiti italiani, quello che oggi ha più parlamentari e quello che potrebbe avere la maggioranza alle prossime elezioni, che lavorano di concerto con i nemici del nostro paese, con tutti i nemici del nostro paese, alla luce del sole, nei salottini del Metropol e nelle sedi diplomatiche, per indebolire i rapporti con gli alleati occidentali, per destabilizzare l’Italia e per demolire l’Unione europea al fine di farci uscire dall’euro e di consegnarci alla Russia o alla Cina, o a entrambi. Tutto questo accade sotto l’occhio improvvisamente sbadato della magistratura, nonostante solitamente sia pronta a sgominare anche solo una giunta comunale. Qui niente. Avessimo l’istituto dell’impeachment, come in America, questo sarebbe un caso facile facile.