il Fatto Quotidiano, 26 novembre 2019
La triste scomparsa degli intellettuali
Nel 1959 Elémire Zolla, personaggio outsider difficilmente inquadrabile in qualche scuola di pensiero, scrisse il suo libro più famoso: Eclissi dell’intellettuale.
L’intellettuale è una figura proteiforme, sfuggente, omnicomprensiva, ed è difficile darne una definizione. Per restringere il campo prendiamo a prestito quella che ne dà lo scrittore Antonio Scurati: “Un professionista della parola meditata, ragionata, raffinata e sapiente”. Quindi il possessore di un’idea forte capace di influenzare e addirittura, a volte, di dar forma a una società. Per molto tempo gli intellettuali per eccellenza, capaci di imporre il loro pensiero, sono stati i filosofi. Aristotele, nato nel 384 a. C., ha condizionato e plasmato l’intera cultura europea del Medioevo. Ipse dixit. Morto il pensiero aristotelico è stato sostituito da quello illuminista di cui Kant e Hegel sono i principali esponenti, pensiero sul quale si sostiene l’attuale modello di sviluppo. Ma dalla metà dell’Ottocento in poi hanno avuto molta influenza anche pensatori che non possiamo definire in senso stretto filosofi, ma piuttosto sociologi o storici o economisti o tutte e tre le cose insieme: Max Weber, Werner Sombart, Georg Simmel e in Italia Giuseppe Prezzolini e Benedetto Croce.
È chiaro che siamo costretti a usare l’accetta perché non vogliamo, né siamo in grado, di fare una storia del pensiero occidentale dalle sue origini a oggi. Speriamo che il lettore ci perdoni. Ma anche nella prima parte della seconda metà del Novecento abbiamo avuto autori, in genere artisti ma persino giornalisti (pensiamo in particolare a Pasolini e a Montanelli) capaci di avere una forte presa sulla società.
Oggi, sia pur in modo graduale, come aveva intuito Elémire Zolla, l’intellettuale è scomparso dalla scena. È stato sostituito dagli influencer, cioè persone in grado al più di fare tendenza sul piano del costume o di essere essi stessi tendenza, continuamente superati dalla velocità cosmica che hanno preso le comunicazioni. Costoro non indicano, né possono farlo per la “contradizion che nol consente”, una direzione duratura. Da costoro puoi sapere come ti devi vestire o come ti devi atteggiare se vuoi essere à la page. Tutto qui. Della stessa stoffa sono i conduttori di talk.
Non ci sono più gli intellettuali. Ecchisenefrega potrebbe dire il lettore che ha avuto la pazienza di seguirci fin qui. Ma il problema non è questo. È che oggi manca un pensiero che pensi se stesso, che ci dica cioè o almeno ci indichi dove stiamo andando (alle famose domande cosmogoniche “chi siamo”, “da dove veniamo”, la filosofia, consapevole della sua impotenza, ha da tempo rinunciato a rispondere).
L’ultimo filosofo propriamente detto, attivo negli anni Trenta, è stato Martin Heidegger che ha posto, in modo laico, il fondamentale problema della tecnica e della sua ambivalenza sulla quale noi contemporanei continuiamo a navigare senza però più porci, a differenza di Heidegger, nessuna domanda.
Viaggiamo su un treno tecnologicamente avanzatissimo, che per sua coerenza interna deve aumentare di continuo la velocità, sballottati di qua e di là da questa stessa velocità che ci provoca stress, angoscia, depressione, nevrosi, ma ottusamente inconsapevoli che in tal modo stiamo accorciando il nostro futuro. Una fine ingloriosa che ci saremo ampiamente meritati.