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 2019  novembre 26 Martedì calendario

La trasgressione nascosta di Marcel Proust

Le mystérieux correspondant (Editions de Fallois, a cura di Luc Fraisse, pagg. 175, euro 18,50) si intitola questa raccolta di inediti, appena uscita in Francia e destinata più a fare la gioia degli studiosi di Marcel Proust che dei lettori. I suoi testi si collocano infatti «aux sources», alle origini della Recherche, manoscritti spesso non finiti, ma comunque gelosamente conservati, una decina in tutto, e che hanno come tema principale l’omosessualità, una sorta di «giornale intimo», nota il loro curatore, in cui questa è affrontata sotto il profilo psicologico e morale, una sofferenza che non conosce altra redenzione se non la trasposizione artistica atta a purificare e rendere «altro» il tema sesso.
Come è noto, ancora alla metà del Novecento era opinione comune che, come scrittore, prima della Recherche Proust non fosse quasi esistito: un’opera giovanile, Les Plaisirs et les Jours, delle traduzioni da Ruskin (La Bible d’Amiens, 1904, Sésame et les lys, 1906), nient’altro. Riprendendo un suggerimento di André Maurois e del suo À la recherche de Marcel Proust, fu proprio Bernard de Fallois, allora giovane ricercatore, a scoprire negli archivi della famiglia quell’insieme di testi che daranno vita al Jean Santeuil e che mostrano come proprio in quegli anni giovanili Proust lavorasse già su più fronti, embrioni di racconti e embrioni di romanzo da cui si distaccavano scritti polemici (il Contro Sainte-Beuve, per fare un esempio) e prove d’autore. È insomma la ricerca di una voce, della «sua» voce, quella che allora prende corpo e di cui anche questi racconti inediti fanno parte. Come e perché il giovane scrittore che Proust era all’epoca decidesse di non pubblicarli, non sappiamo. Al di là di un giudizio critico dato dall’autore sul loro valore, Luc Fraisse, che li ha recuperati proprio dal fondo de Fallois, suggerisce che avessero bisogno «d’essere scritti per sé, più che d’esser pubblicati per gli altri». Del resto, è un dato di fatto che la particolare angolazione con cui viene affrontato il tema dell’omosessualità in quanto sofferenza e maledizione, è alla base di quello che sarà poi il dispositivo di proiezioni, di discorsi per procura, alla base della stessa Recherche. La tensione fra segreto e confessione è quella che spinge Proust a non adottare mai la prima persona ed è noto lo scontro che egli avrà in proposito con André Gide, edonista e egotista, omosessuale gioioso in quanto vitalista: «Potete raccontare tutto, ma a condizione di non usare mai il pronome io»...
Naturalmente, in questi inediti ci sono anche in fieri una serie di temi squisitamente proustiani: la consolazione di non essere amati proiettata in un universo musicale, il ruolo della lettera, ovvero della corrispondenza epistolare, nella resurrezione dei personaggi, la patologia dei geni creatori... E c’è anche l’intera panoplia dei suoi gusti di giovane lettore, Racine, Hugo, Poe, la sperimentazione delle forme letterarie (parabola, apologo, racconto fantastico, racconto à suspense...).
Quando all’inizio si osservava che Le mystérieux correspondant farà più la gioia degli studiosi che non dei semplici lettori, non lo si diceva a caso: alle cento pagine inedite di Proust se ne aggiungono altrettante di analisi e riferimenti miranti a farle confluire nel mare magnum della Recherche... Resta però inevaso l’interrogativo su quanto la sofferenza «omosessuale» di Proust avesse a che fare con la sua epoca, fosse cioè il frutto dei giudizi, e dei pregiudizi, del suo tempo e qui, per una curiosa eterogenesi dei fini, viene in soccorso un altro libro, anch’esso fatto di inediti. Stiamo parlando della Correspondance amoureuse (Gallimard, a cura di Olivier Wagner, pagg. 360, euro 24) fra Natalie Clifford Barney e Liane de Pougy, ovvero fra la più celebre «amazzone» e la più famosa delle cortigiane della Francia fin de siècle. Sono 172 lettere che dal 1899 al 1905 raccontano una passione, il sogno di una possibile emancipazione a due, lontano dall’oppressione maschile, la fine e il rimpianto di ciò che è stato. Hanno inizio con la ventitreenne Natalie che si presenta a casa di Liane travestita da paggio fiorentino e autoproclamantesi messaggera d’amore da parte di Saffo... Hanno fine quando quest’ultima da «grande orizzontale» che ha per amanti le teste coronate d’Europa, sceglie di diventare la principessa Ghika, impalmando un nobile romeno... C’è in esse insomma tutto il delirio di un’epoca dove la mascolinità regna ma la femminilità è qualcosa di ben diverso dal femminismo, non ha a che fare con l’emulazione o il superamento, ma persegue una sorta di separazione dei sessi, nella convinzione che quello «debole» sia abbastanza forte per bastare a sé stesso...
Pur nel rispetto formale di un codice comportamentale, Natalie Clifford Barney e Liane de Pougy mettono insomma in scena una relazione sentimentale che poi verrà da loro stesse romanzata in corso d’opera, L’idille saffique pubblicato dalla seconda nel 1901, e quanto alla prima, il suo salotto letterario di rue Jacob e le sue avventure sentimentali riempiranno le cronache del primo Novecento francese.
«Faremo dell’amore un’arte» è il refrain che suona in quelle lettere, «la perversità soleggiata» della loro unione, la ricerca di una terra lontana dove vivere definitivamente allo scoperto... Poetiche, appassionate, ricche, disinibite, le nostre due «eroine» affrontano con voluttà ciò che il giovane Marcel negli stessi anni constata con sgomento e senso di colpa. In quei suoi racconti mai pubblicati, l’amore per il proprio sesso finisce sempre in tragedia, aleggia come un fantasma nefasto. Mai come in quella Parigi trasgredire è stato un imperativo e insieme una condanna.