Il Sole 24 Ore, 26 novembre 2019
Norinchukin, il colosso delle cartolarizzazioni
Cosa c’entrano i sempre meno numerosi contadini e pescatori giapponesi – sussidiati e quasi tutti anziani – con gli equilibri della finanza globale? C’entrano eccome, visto che la cassa centrale delle loro cooperative – Norinchukin, con asset per circa mille miliardi di dollari – non è solo uno dei più grandi investitori istituzionali del Giappone, ma è diventata il principale operatore mondiale sul mercato dei Clo (Collateralized Loan Obligation), fino a condizionarne e anche distorcerne le dinamiche con il suo focus sulle tranche più sicure (rating AAA) accompagnate da richieste accessorie che rendono più problematica la vendita delle porzioni più rischiose. Pare appropriato che il suo quartier generale di Tokyo inglobi l’edificio da cui il generale vincitore Douglas MacArthur emise i suoi editti per la riforma agraria oltre che per democratizzare il Paese.
Proprio mentre perdeva potere politico interno (dovendo trangugiare gli accordi di libero scambio), la lobby agricola ha scoperto una influenza rilevante sui mercati internazionali, così come l’intero Giappone – pur pesando meno sull’economia globale – rafforza il suo ruolo finanziario globale in quanto primo creditore netto del mondo: grande e spesso imprescindibile investitore, compreso il campo degli Fdi (ieri altre due maxiacquisizioni annunciate, Mitsubishi sull’olandese Eneco e Asahi Kasei sulla danese Veloxis).
Questa evoluzione è stata spronata dalla politica della Banca del Giappone (Boj) che – specie dopo l’introduzione di tassi negativi nel 2016 – ha costretto le istituzioni finanziarie a cercare disperatamente rendimenti positivi oltre confine, oltre a creare distorsioni sui mercati interni (minore liquidità del mercato JGB, ruolo spropositato in Borsa con gli Etf e sul mercato immobiliare tramite i Reit). Alcuni nodi stanno cominciando a venire al pettine.
La stessa BoJ ha cominciato a mettere sotto la lente il fatto che le banche giapponesi detengano in portafoglio il 15% del mercato globale dei Clo (pari al 20% dei loro investimenti in prodotti di credito esteri) e ha suonato un campanello di allarme. Per la prima volta in sette trimestri, Norinchukin ha iniziato a ridurre l’esposizione verso i Clo, a 7.900 miliardi di yen (72,8 miliardi di dollari) a fine settembre contro il picco di 8mila miliardi di yen a fine giugno (sempre più del doppio rispetto ai 3.800 miliardi del marzo 2018). Alzare il profilo di rischio nel portafoglio, del resto, non ha arrestato la caduta della redditività ordinaria, scesa tra aprile e settembre di un altro 26,6% a soli 86 miliardi di yen, specie a causa dei costi esorbitanti del funding di valuta estera.
Se il maggior operatore nonché detentore delle tranche più sicure di Clo fa passi indietro, sembrano destinati a moltiplicarsi i dubbi su una classe di asset che quest’anno vede emissioni record in Europa e su livelli alti quasi quanto l’anno scorso negli Usa. Vari operatori hanno sussurrato che già tra la fine dell’anno scorso e l’inizio di quest’anno i giapponesi (Norunchukin ma anche Japan Post, che detiene Clo per 1.520 miliardi di yen, poco più della metà di quanto abbia MUFG) abbiano sostenuto una fase difficile del mercato, che di recente ha dato altri segni di scricchiolio con operazioni più problematiche delle attese come alcune curate, ad esempio, da Deutsche Bank e Barclays. Gli ottimisti, peraltro, suggeriscono che un minore impegno nipponico nel settore sarà compensato da altri investitori (cresce, ad esempio, l’esposizione a tutto campo degli investitori coreani).
Le simulazioni effettuate dalla BoJ hanno concluso che, in generale, il sistema finanziario giapponese stia diventando più sensibile agli effetti di eventuali stress finanziari all’estero; nel particolare, se il focus sui Clo dal rating più alto rende nel complesso basso il rischio di forti perdite, è stato sottolineato che la diversificazione del rischio è minore di quanto sembri: se a fine 2018 i 1.500 Clo sul mercato incorporavano prestiti a circa 3mila imprese, ciò significa che i crediti a un piccolo numero di aziende sono inseriti in parecchie centinaia di Clo. Senza contare l’ulteriore esposizione attraverso gli hedge fund che vi investono. «La ricerca di rendimenti in un contesto di tassi zero o negativi alza il risk-taking nel settore bancario», ha avvertito ieri a Tokyo la nuova direttrice dell’Fmi Kristalina Georgieva, raccomandando di rafforzare la vigilanza pubblica sul settore finanziario (l’Fmi si spinge a suggerire alla Boj di arretrare da 10 anni a una scadenza più corta il suo target per i tassi zero sui Jgb al fine di sostenere i tassi a lungo).
Le autorità giapponesi hanno già deciso di attuare a inizio 2020 uno «stress test» centralizzato e comprensivo sulle 4 principali banche, più Norinchukin. Alcuni analisti, peraltro, pensano piuttosto che un vero bubbone finanziario – a rischio di forti ripercussioni all’estero – stia annidato nel sistema delle 79 banche regionali (cui spesso la stessa Norinchukin viene «assimilata»), su cui gravano le prospettive più declinanti e i rischi più alti. Tra cui l’esposizione al mercato immobiliare, dove hanno guidato una espansione dell’erogazione di credito arrivata ai livelli del picco della «Bubble economy» di 30 anni fa.