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 2019  novembre 26 Martedì calendario

La banca di Tokyo dietro all’emergenza Fed

È ancora un mistero. Le cause delle turbolenze sul mercato interbancario Usa – che hanno costretto la Fed a iniettare enormi quantità di liquidità nel sistema – sono ancora poco conosciute. In un fenomeno che pure invoca diversi fattori – la concentrazione dei Money market funds (Mmf), le loro regole – spunta però un nome preciso: quello della Norinchukin Bank. 
Nulla di illecito o di scorretto: solo l’effetto dell’interazione tra diverse strategie in un mercato oligopolistico e mal regolato. La crisi – spiegano fonti finanziarie internazionali che preferiscono restare anonime – è stata l’esplosione improvvisa di una ricorrente strategia che coinvolge anche alcune banche francesi e i Mmf. 
A sollevare i sospetti sono innanzitutto le date. La crisi è iniziata a settembre 2019: le prime tensioni sono state registrate il 16 e il 17 settembre, quando i tassi sui repo (repurchase agreement) sono saliti fino al 10%. Si avvicinava la fine del trimestre, e le imprese europee erano impegnate in un’intensa attività di window dressing. Per le banche del Vecchio continente, i leverage ratio imposti da Basilea III sono calcolati a fine periodo, mentre altre giurisdizioni prevedono medie quotidiane. I gruppi europei, quindi, ampliano le dimensioni del loro bilancio per tre mesi, salvo ridurle bruscamente al termine del periodo per rientrare nei requisiti. 
Da anni – conferma uno studio per la Banca dei regolamenti internazionali di Iñaki Aldasoro, Torsten Ehlers e Egemen Eren, Global Banks, Dollari Funding, and Regulation – il maquillage dei bilanci, del valore di centinaia di miliardi di dollari, coinvolge anche le attività in repo. A subirne le conseguenze sono le banche giapponesi, e tra esse la Norinchukin. La banca cooperativa delle cooperative agricole giapponesi è però per molti versi un caso a sé: raccoglie provvista solo in Giappone, in yen – ricordano le fonti – ma investe molto in dollari, ed è quindi vulnerabile alle variazioni del cambio dollaro/yen, con costi di conversione elevati. Norinchukin ha dunque bisogno – per le sue attività negli Usa – di finanziarsi direttamente in dollari.Fa quindi ampio ricorso ai repo – a fine settembre era esposta per 15.617 miliardi di yen (130 miliardi di euro), il 15% delle passività consolidate – e, investe in collateralized loan obbligations (Clo), a rischio elevato, per compensare gli oneri.
Norinchukin evita però di ricorrere ai Money market funds (Mmf), i principali attori sul mercato dei repo, che per ragioni regolamentari devono realizzare prevalentemente operazioni a breve termine. Le banche giapponesi in genere – Norinchukin in modo estremo – prediligono invece operazioni a più lungo termine. A fine settembre 2016, secondo lo studio della Bri, la quota di repo conclusa con i Mmf era pari all’1,6% per la Norinchukin – il livello più basso tra le banche giapponesi, che non superano il 12% – e compresa tra il 45% e il 52,1% per le banche francesi. Facile capire perché: il 70% dei repo degli Mmf ha una durata residua di 5 giorni, i repo delle banche giapponesi hanno una durata media di 40 giorni, quelli della Norinchukin 120 giorni. Solo pochi Mmf – non numerosi, in un mercato oligopolistico – sono quindi in grado di soddisfare la domanda giapponese. Le banche nipponiche ricevono quindi in media il 50% dei repo loro concessi dagli Mmf da una sola ‘famiglia’ di operatori, e il 70% dalle prime due. Per le banche europee le percentuali sono rispettivamente 35% e 50%.
I principali intermediari delle banche giapponesi sono allora le aziende di credito francesi. Per il gioco del window dressing, però, la loro offerta di fondi ha variazioni imprevedibili. Il ritiro a fine trimestre di ingenti somme dai repo, fa sì che tutte le banche giapponesi – sottolinea il lavoro della Bri – sostituiscano «i loro finanziamenti con una forma di finanziamento più cara nel breve termine, fino a che le banche francesi non tornano sul mercato», rivolgendosi anche agli Mmf.
Il gioco ha funzionato bene per anni, ma con la riforma del 2016 il mercato degli Mmf è diventato più oligopolitisco e il loro pricing power è aumentato: da allora i tassi sui repo hanno registrato tensioni ogni fine trimestre. A settembre il gioco del window dressing si è ripetuto, ma in circostanze sfavorevoli soprattutto per Norinchukin. La Fed nel 2019 ha abbassato i tassi, creando forti perdite sui suoi assets in dollari, pari al 50% del totale. Dubbi sulla sua solidità inoltre erano sorti a giugno, quando la Norinchukin ha iniziato a ridurre i suoi Clo. Alla ricorrente riduzione dell’offerta si è poi aggiunto un eccesso di domanda di repo, legata (a parte quella consueta delle altre banche giapponesi) a una scadenza per il versamento delle imposte e le aste del Tesoro. È la ricetta perfetta per un corto circuito: prezzi più alti hanno peggiorato il merito di credito delle banche, ridotto la fiducia nelle controparti e rischiato di congelare il mercato. 
Gli economisti della Bri avevano previsto tutto questo: «Durante un episodio di crisi nei finanziamenti in dollari –gli Mmf potrebbero avere un incentivo a sfruttare il loro potere di mercato e chiedere prezzi più alti alle banche che hanno bisogno di dollari» e, in questo modo, far aumentare «il rischio di un congelamento generale nei mercati di finanziamento». In questo caso, «un gran numero di banche centrali nazionali potrebbero dover provvedere liquidità in dollari per prevenire una catena globale di default».