Corriere della Sera, 26 novembre 2019
Il gigantesco sottomarino di Putin
Quando in «Caccia all’Ottobre Rosso» Alec Baldwin, nella parte dell’analista della Cia Jack Ryan, cerca di chiarire al consigliere per la Sicurezza nazionale la pericolosità del nuovo sottomarino sovietico, gli dice così: «Questa cosa potrebbe depositare un paio di centinaia di testate nucleari al largo di Washington o di New York e nessuno ne saprebbe nulla fin quando non sarebbe tutto finito».
Sono passati 35 anni dal romanzo di Tom Clancy, ventinove dal film di John Mc Tiernan. La Guerra Fredda tra Usa e Urss è ormai un lontano ricordo. Ma quel sottomarino non è più una fantasia letteraria o hollywoodiana. Esiste davvero.
Dopo due decenni di relativa calma e ambizioni di disarmo frustrate, una nuova corsa al riarmo nucleare sta trasformando l’intero pianeta in un luogo ad altissimo rischio. Stati Uniti, Russia, Cina, perfino Francia e Gran Bretagna (i cinque Paesi che ufficialmente posseggono la bomba) stanno investendo centinaia di miliardi di dollari nel più massiccio e radicale rinnovamento dei loro arsenali dell’ultimo mezzo secolo. Una modernizzazione che punta a garantirsi, da qui al 2080, sofisticati e avveniristici sistemi d’arma atomici in grado di portare morte e distruzione totale a decine di migliaia di chilometri di distanza.
Ma di tutti i teatri del confronto, quello di gran lunga più rivoluzionario e inquietante avviene negli abissi. È sotto gli oceani che Mosca e Washington fanno a gara per dotarsi dell’arma risolutiva, quella da cui sarà impossibile difendersi.
Lo scorso 27 aprile a Severodvinsk, alla presenza di Vladimir Putin, la Marina russa ha varato il Belgorod. È uno dei più grandi sommergibili mai costruiti al mondo: mosso da due propulsori atomici, lungo 178 metri, l’equivalente di due campi di calcio o se si preferisce di due Jumbo jet e mezzo, il suo scafo ha un diametro di 15 metri. È proprio come l’Ottobre Rosso del film, lo speciale design delle eliche e i nuovi materiali con cui sono costruite rendono il Belgorod molto silenzioso e difficile da localizzare dai sonar nemici.
Eppure la vera novità non è il sommergibile in sé, ma quello che ha dentro e fuori. Non ci sono infatti missili intercontinentali nella pancia del Belgorod, ma sei giganteschi siluri anch’essi a propulsione nucleare. Lunga 24 metri, larga 2, capace di viaggiare a 140 chilometri l’ora anche a mille metri di profondità, figlia di un’idea originaria del padre dell’atomica sovietica, il premio Nobel per la Pace Andrei Sakharov, quest’arma è stata battezzata Poseidon ed è il vero novum dell’arsenale russo. Armato di una testata atomica da 2 megaton, 150 volte più potente della bomba di Hiroshima, esso può navigare senza ostacoli fino alle coste nemiche ed esplodere provocando uno tsunami radioattivo, in grado di seppellire un’intera metropoli e la sua regione. Occorrerebbero 36 ore a un Poseidon per percorrere il tratto da Murmansk a New Yok. Vi sembra troppo? «Ma i satelliti non potrebbero rilevarlo e viaggerebbe al riparo da ogni sistema di difesa, garantendo una carica mortale lenta e inevitabile», spiega H.I. Sutton, massimo esperto della guerra sottomarina e autore del blog Covert Shores, che ha dedicato molte ricerche su questi sistemi e con il quale siamo in contatto.
È vero tuttavia che non ci sono dati precisi sullo stato di sviluppo del Poseidon, se cioè sia già pienamente operativo ovvero si tratti ancora di una tigre di carta. Certo è che la Marina russa lo abbia e lo stia testando. Non ultimo nella più grande esercitazione sottomarina dal tempo della Guerra Fredda, che secondo indicazioni diverse e convergenti i russi avrebbero iniziato già da qualche settimana. In ogni caso, osserva Sutton, «dal punto di vista psicologico il Poseidon è un’arma brillante, l’idea di un robot-bomba in grado di sollevare uno tsunami radioattivo è terrorizzante, degna di un film apocalittico di Hollywood».
Ancora un altro ordigno sarebbe collegato al Belgorod. Si chiama Losharik, è un mini-sommergibile atomico attaccato esternamente al gigantesco scafo-madre e verrebbe usato per missioni supersegrete di spionaggio subacqueo. Lungo 70 metri, 35 uomini di equipaggio, il Losharik è supportato da un sistema di robot sottomarini chiamati Klavesin, anche loro ospitati a bordo del Belgorod, droni in grado di cartografare i fondali. Di più, ad assistere questa straordinaria macchina militare è un sistema di sensori e sonar chiamato Harmonia, in corso di realizzazione, che secondo i russi in futuro permetterà loro di intercettare qualsiasi cosa si muova sotto l’acqua fino a 100 chilometri di distanza. Non tutto fila liscio. Sarebbe infatti su un prototipo del Losharik che in luglio, nel Mar di Barents, è scoppiato l’incendio nel quale sono morte 14 persone, quasi tutti alti ufficiali. Secondo il quotidiano Kommersant, il fuoco sarebbe stato originato nella zona degli accumulatori di corrente.
Neppure gli americani sono da meno. Il Pentagono ha stanziato fondi consistenti per realizzare entro quest’anno diversi esemplari di un apparato innovativo, lo XLUUV. Secondo quanto è trapelato dovrebbe avere dodici «tubi» attraverso i quali può lanciare missili da crociera e anti-nave, mine e dispositivi per l’intelligence. Una delle sue missioni potrebbe essere anche quella di contrastare il Poseidon russo prima che si avvicini troppo ai bersagli. E, come spiega ancora Sutton, andrà ad integrare l’azione dei grandi sottomarini nucleari Usa. Alcuni di questi, come la classe Ohio, hanno armi, ma diventano comando avanzato e base usando il meglio della tecnologia della Navy. Questa capacità mutante sarà caratteristica fissa dei Columbia, la nuova generazione di sottomarini strategici destinata a rimpiazzare la classe Ohio. Rispetto ai giganti però, lo XLUUV ha il vantaggio di poter operare anche in teatri «ristretti», come quello cinese.
Tutto questo avviene su un fronte subacqueo dove anche Paesi più piccoli, come Israele e Corea del Nord, hanno dedicato risorse per dotarsi di un braccio missilistico a lungo raggio. Per capacità e budget non competono con le Superpotenze, ma vogliono avere mezzi per impensierire il nemico. Prove in mare hanno dimostrato che battelli convenzionali europei, italiani inclusi, possono sorprendere con i loro siluri perfino una portaerei e la sua scorta.
La Us Navy, da parte sua, si è immersa nella nuova «battaglia per l’Atlantico». A questo fine ha riattivato il comando della Seconda Flotta e sono state intensificate le operazioni nello scacchiere Groenlandia-Islanda-Gran Bretagna, dove per anni la Nato ha cercato di marcare, con i sensori, il passaggio dei sommergibili atomici russi, attivi come non mai. Profili di missione ripetuti dagli Usa verso la Cina, l’altra grande protagonista della sfida sul fondo. Pechino dal canto suo sviluppa la flotta e si protegge con una muraglia subacquea per tenere lontani gli «squali» statunitensi. Un duello del quale conosciamo – forse – le spade, ma non vediamo chi le impugna.