la Repubblica, 26 novembre 2019
Mosca e i musei del futuro
Da due luoghi comuni della società russa, la vodka e il gas, nasce un luogo fuori dal comune, anzi straordinario: Ges 2, una vecchia centrale di gas del 1907 e una distilleria di vodka trasformate in qualcosa che, per semplificare, potremmo chiamare centro per le arti e la cultura. Una fabbrica di idee, di domande – prime fra tutte: ma che cosa è, è stata e sarà questa benedetta cosa chiamata arte? – e possibilmente anche di risposte. Di questi tempi, se si mettono assieme le parole “Russia” e “Italia”, esce fuori Salvini. Ma è una “fake view”, un falso punto di vista. Infatti, Ges 2 è la dimostrazione che le due parole assieme possono generare qualcosa di molto luminoso, molto solare.Russo è Leonid Mikhelson, che con la sua azienda Novatek, produttrice di gas liquido, è uno degli uomini più ricchi di Russia. Italiano è Renzo Piano, l’architetto chiamato a immaginare questa cattedrale di luce in mezzo all’isola Balchung nel centro di Mosca, a due passi dal Cremlino, di cui molti edifici furono disegnati nel 1479 da Aristotele Fioravanti. Ci sono voluti 540 anni prima che un altro architetto italiano fosse chiamato a disegnare un edificio così importante da un punto di vista urbanistico. Un edificio che non sarà certo il cuore del potere politico, ma sicuramente, dall’autunno 2020 quando aprirà, quello del potere culturale contemporaneo di Mosca, che con le sue quattro ciminiere blu saluterà le cupole dorate attorno alla Piazza Rossa.Nonostante Piano e il suo studio RPBW abbiano disegnato più di 35 musei, Ges 2 è forse la sfida che si avvicina di più a quella che Piano affrontò da giovane ribelle assieme a Richard Rogers, agli inizi degli anni Settanta, con il Centre Pompidou. Italiano è Antonio Belvedere, l’architetto che ha trasformato sul campo la visione del maestro “geometra” in uno spazio reale. Italiano è il direttore artistico di Ges 2, Francesco Manacorda, già a capo della Tate di Liverpool. Ma, più che altro, italiana anche se da poco naturalizzata russa, è Teresa Iarocci Mavica, trapiantata in quella che era l’Unione Sovietica dalla metà degli anni Ottanta, e che assieme a Mikhelson, nel 2009, ha creato la Victoria Art Foundation, un’istituzione partita per sostenere la giovane arte russa e ora diventata una potenza nel sistema dell’arte contemporanea.La fondazione porta il nome della figlia primogenita di Mikhelson, ventotto anni, impegnata anche lei a tempo pieno nella costruzione del programma del futuro centro d’arte.Quando Renzo Piano vide per la prima volta la dismessa centrale elettrica, chiese a Mikhelson di comprare anche tutti gli edifici attorno, escluso l’enorme complesso residenziale che troneggia come un massiccio montuoso alla spalle della centrale e che ai tempi dell’Unione Sovietica ospitava 4000 appartamenti per 12 mila apparati della nomenclatura politica. E che con la sua austera storica solidità sembra quasi proteggere la futura cattedrale di vetro dai venti inevitabili di critiche e polemiche che sempre arrivano su grandi progetti che cambiano le abitudini urbane di ogni città. «Che cosa ne vuol fare, signor Piano, degli altri edifici?» chiese incuriosito, più che preoccupato, l’imprenditore committente. «Distruggerli», fu la risposta dell’architetto genovese. Così è stato. Mikhelson ha fatto come ha detto l’architetto. Spinto da una sana folle filantropia, desideroso di regalare un luogo unico alla città, dove la gente, in particolare i giovani, possano trovare uno spazio per il dialogo e una fabbrica- laboratorio dove costruire la loro nuova identità culturale. A Piano tutto quello spazio serviva per creare il quadrato magico di 142 per 142 metri immaginato nella sua testa dove poter piantare anche un bosco di betulle accanto alla vecchia centrale. La natura al fianco delle idee. Gli alberi crescono, le idee si trasformano. Ges 2 sarà un edificio ecosostenibile alimentato dalla luce del sole e rinfrescato da un sistema ad acqua. Dentro ne succederanno di cotte e di crude, si spera. Da mostre tradizionali a performance improbabili, come quella che l’islandese Ragnar Kjarstansson metterà in scena in tutto, o meglio tutti, gli spazi del centro nell’autunno inaugurale del 2020. Sarà la ricostruzione degli episodi di Santa Barbara, la prima soap opera americana arrivata in Russia dopo il crollo dell’Unione Sovietica, attraverso la quale i russi hanno iniziato a conoscere il capitalismo e l’occidente: 1823 episodi che l’artista islandese proverà a rimettere in scena.Un’impresa titanica che riflette le ambizioni di Ges 2. Ambizioni che dovranno far vivere 22 mila metri quadri dei quali una navata centrale di 5000. Una sfida non da poco. Ma, se sarà vinta, questo nuovo centro culturale – anche se la definizione è molto polverosa – potrebbe diventare uno snodo fondamentale dove due culture diverse e complesse, quella asiatica e quella occidentale, potrebbero intrecciarsi, dando vita a un esperimento culturale nuovissimo, anche se complicatissimo. La carriera del “geometra” Piano è tutt’altro che conclusa, ma è tuttavia interessante che, mezzo secolo dopo il Beaubourg, questo ottantaduenne riparta con un progetto che pare la continuazione naturale o il ramo più alto di un albero di progetti il cui seme fu piantato, quasi per sbaglio, e che germogliò quasi per miracolo. Ges 2 è il pronipote del Pompidou. Leonid Mikhelson invece è un misto fra Lorenzo de’ Medici e Italo Calvino: potente, visionario, sognatore e leggermente squilibrato. Renzo Piano un Barone Rampante che, una volta salito sull’albero dell’architettura, non è più sceso, potendo da lì guardare il mondo in modo diverso, immaginando quadrati dove pare a lui e che gli altri possono attraversare, ma non vedere. Nel caso di Ges 2, comunque, ogni riferimento al famoso quadrato nero del pittore russo Malevic è puramente casuale. O quasi.