La Stampa, 26 novembre 2019
Il duello tra Bertolucci e Pasolini
Due film in lavorazione nello stesso periodo, Salò e Novecento, una produzione più povera e l’altra decisamente ricca di mezzi e di star, due famosi registi fra i quali allora non correva buon sangue. Cosa poteva esserci di meglio che risolvere tutto su un campo di calcio? L’idea della «partitella» per mettere pace fra Pasolini e Bertolucci, che non aveva per niente gradito un giudizio negativo dello scrittore sul suo Ultimo tango a Parigi, era venuta a Laura Betti, amica fraterna di PPP impegnata sul set di Novecento nel ruolo della fascista amante di Donald Sutherland-Attila. E così le squadre delle due troupe se la giocarono sul campo fangoso della Cittadella nel freddo di una domenica padana di marzo, a Parma, il giorno del 34° compleanno di Bernardo Bertolucci. Quest’ultimo in panchina e Pasolini all’ala destra, come sempre, a far impazzire la difesa avversaria con le sue discese in tandem con Ninetto Davoli.
Finì inaspettatamente 5 a 2 per Novecento, come ci ricorda un fotogramma del bel documentario Centoventi contro Novecento di Alessandro Scillitani e Alessandro Di Nuzzo, al suo debutto stasera a Bologna, che mostra Bertolucci a mano aperta a indicare la goleada con espressione di trionfo, al termine della partita. Verdetto del campo indiscutibile e pace fatta? Mica tanto: a sentire i protagonisti di allora come il montatore di Salò Ugo De Rossi, Pasolini uscì dal campo «incazzato nero» per l’arbitraggio ingiusto – due rigori contestatissimi subiti - e perché gli altri avrebbero giocato sporco, assoldando tre calciatori veri fra cui figurava addirittura un Carlo Ancelotti ragazzino, all’epoca in forza alle giovanili del Parma. «Li avevano ingaggiati fra i professionisti del luogo», conferma De Rossi, fatto sta che nel secondo tempo entrarono in campo e dilagarono. Dal pareggio del primo tempo al 5-2 finale per la troupe di Bertolucci.
Come spesso avviene quando un evento è remoto e i diretti interessati non ci sono più – Pasolini venne ucciso il 2 novembre di quell’anno, Bertolucci è morto esattamente un anno fa - i ricordi trascolorano nel mito e, in questo caso, assumono la forma della commedia all’italiana: la «partitella» infatti venne presa tanto sul serio che la squadra di casa si fece confezionare una maglia apposta, con la scritta gialla «Novecento» che la attraversava in diagonale, e calzettoni psichedelici multicolori per confondere gli avversari.
Decio Trani, fonico del film di Bertolucci schierato in difesa, racconta delle discese di Pasolini e della brutta piega che stava prendendo la partita nella prima frazione di gioco: «Sembrava Maradona, scambiava con Ninetto Davoli e facevano gol, poi un’altra discesa e un altro gol, ho pensato "qui ne prendiamo ‘na barcata", allora ho detto a Barone, uno grosso come un armadio che giocava con noi, "fai qualcosa, vagli addosso": all’ennesima discesa gli va addosso e a momenti lo ammazza. Pasolini s’infortunò, fu sostituito e da lì cominciò la nostra rimonta».
Col regista di Salò giocava Ugo De Rossi, che prima di mettersi al lavoro sulle 120 giornate di Sodoma aveva già collaborato con Pasolini per Il fiore delle mille e una notte e I racconti di Canterbury: «Io e Pierpaolo giocavamo a pallone insieme tutti i giorni in pausa pranzo, al Palatino, dove c’era un campetto. Salò e Novecento erano entrambi prodotti dalla Pea di Alberto Grimaldi, dunque la partitella fra le due produzioni era una cosa abbastanza normale. Da parte di Pasolini poi non c’erano tutta questa amicizia e trasporto per Bernardo Bertolucci; era amico del padre Attilio, questo sì, perché erano entrambi poeti». Una certa rivalità fra le due troupe invece c’era eccome, fosse anche solo per la disparità di mezzi: «Il nostro era un film proletario, chiamato scherzosamente "Salò bleve" per il tempo e i mezzi limitati, ed eravamo tutti "scaciati" (trasandati, ndr), mentre loro erano quelli di "Novelento", perché avevano un sacco di tempo a disposizione, soldi e gente come Burt Lancaster, De Niro, Depardieu, la Sandrelli».
A imprimere la svolta inaspettata alla partita – quelli di Salò, visti all’opera dagli emissari di Bertolucci prima della sfida, erano stati definiti «forti come il Brasile» – la condotta molto discutibile dell’arbitro: «Era Giansanti, il nostro direttore di produzione, che però voleva tenersi buona anche l’altra produzione perché in futuro magari avrebbe potuto lavorare con loro, così finì per concedergli due rigori inesistenti».
Un arbitraggio così scandaloso, sempre a sentire De Rossi, da far imbestialire non solo Pasolini – «quella è stata una delle giornate più brutte della sua vita» - ma anche Laura Betti e il direttore della fotografia Tonino Delli Colli: «Erano arrabbiatissimi, volevano ritirare la squadra. Io stesso ricordo che ho giocato con la bava alla bocca su questo campo di fango, una partita dura e vera. Pensare che, una volta finito Salò, ho lavorato anche in Novecento…». A fine partita i giocatori mangiarono una torta in campo per festeggiare Bertolucci, poi si ritrovarono tutti al ristorante: un gruppo da una parte e uno dall’altra.