il Fatto Quotidiano, 25 novembre 2019
«Berlusconi prese Einaudi dopo la ripicca di Agnelli»
Chi si ricorda ancora di Giulio Einaudi (1912–1999), il grande editore scomparso vent’anni fa? Quasi nessuno, se è vero che un importante manager della Mondadori, che nel 1994 rilevò la casa editrice torinese, non troppo tempo fa ha detto ai suoi collaboratori che di Einaudi non voleva più sentirne parlare. Non solo Milano dimentica, pure Torino non è da meno. Da cinque anni, per esempio, è abbandonato da qualche parte il regalo che Roberto Cerati, ex presidente della casa dello Struzzo, “l’uomo dai silenzi significativi” nella definizione di Giulio, volle fare prima di morire alla sua casa editrice: una storia orale e per immagini dell’Einaudi e dei libri che l’hanno fatta grande, dal 1933 al 1983, l’anno della crisi. Attraverso la supervisione di Cerati, l’ha realizzata Claudio Pavese, un amico studioso di editoria e bibliofilo. Un’opera fatta di oltre quattro ore di registrazioni e in quasi 600 immagini originali, contenute in vari cd, che è stata dimenticata. D’altronde neppure Malcolm Einaudi, il nipote dell’editore, ha avuto più fortuna. Ha creato la Fondazione Giulio Einaudi, e custodisce l’intera biblioteca privata del nonno, oltre a corrispondenze e a vari documenti. L’ha offerta alla Città di Torino, chiedendo dei locali acconci per ospitare il tutto, ma nessuno gli ha mai dato retta.
Nel ventennale della morte, avvenuta il 5 aprile 1999, pertanto, ben pochi hanno onorato la sua memoria. C’è stato il comune di Dogliani, il paese delle Langhe dove c’è la bella tenuta degli Einaudi voluta dal padre di Giulio, il presidente della Repubblica Luigi, che la scorsa settimana ha reso omaggio con alcune iniziative, presenti la figlia Giuliana e il nipote Malcolm, all’editore “espressione più alta di questa terra, capace di dare vita alla più grande impresa culturale e civile italiana del dopoguerra”. E poi c’è Domenico “Mimmo” Fiorino, classe 1953, che per tanti anni è stato l’autista personale del “Dottore”, come lo chiamava. Dopo avere pubblicato nel 2011 un primo libro sull’editore, adesso ha dato alla stampe Giulio Einaudi. Il principe dei libri (Graphot, 221 pagine, euro 12), seconda puntata del racconto di quel periodo straordinario.
Due episodi nella sua narrazione riassumono le ragioni per cui, oggi, lo Struzzo è di proprietà della Mondadori di Silvio Berlusconi. Il primo risale al 1983, quando le finanze dell’Einaudi andarono in crisi. Avrebbe potuto essere salvata subito, narra Fiorino, dall’Avvocato, ossia da Gianni Agnelli. “Eravamo nel 1983”, scrive, “il giorno e il mese non li rammento, ma ci trovavamo sicuramente nel pieno della grande crisi finanziaria dell’Einaudi.
Renata Paglietti, la responsabile del personale, mi disse: ‘Mimmo, alle 15 dovresti portare una busta al notaio Antonio Marocco’. Alle 14.30 mi presentai in casa editrice e andai dalla Paglietti per prendere la busta da portare al notaio, uno dei più importanti della città. La signorina, quando mi vide, mi disse: ‘Mimmo, mando un altro da Marocco. Tu dovresti andare a casa del dottor Einaudi, che ha bisogno di te. (…) Ti aspetta sotto casa, in via della Rocca’”. Il “Dottore”, prosegue Fiorino, “mi disse: ‘Mimmo, dobbiamo andare in via del Carmine nello studio dell’avvocato Franzo Grande Stevens. Sai dov’è?’. Risposi: ‘Sì, dottore’. Appena arrivati in via del Carmine, il dottore scese: ‘Aspettami qui. Quando ho finito, mi devi accompagnare all’aeroporto di Caselle’. Aspettai circa mezz’ora. Alla fine lui arrivò. Notai che era un po’ scuro in faccia. Si limitò a dirmi: ‘Mimmo, portami a Caselle. Devo partire per Roma’. Seppi in seguito dal dottor Roberto Cerati (…) che quel giorno l’Avvocato, Gianni Agnelli, insomma, per tramite di Franzo Grande Stevens si era rifiutato di acquistare una quota azionaria dell’Einaudi, circa il 30 per cento, che evidentemente il dottore gli aveva offerto per far fronte ai problemi della casa editrice.
Il rifiuto, come mi confidò Cerati, era una ripicca da parte di Agnelli. Qualche anno prima, infatti, l’Avvocato era andato da Einaudi per proporgli di rilevare una quota di minoranza dello Struzzo. Il dottore, però, allora non aveva necessità di vendere, e per giunta alla Fiat; e poi era troppo orgoglioso per cedere qualcosa della sua creatura. Così gli aveva detto di no. Gianni Agnelli non aveva dimenticato l’affronto”.
Il secondo episodio è del 1994. Fiorino ed Einaudi, un giorno, partono per Milano, “il dottore aveva un appuntamento in via Montenapoleone”. Giunti a destinazione, “accostai al marciapiede e parcheggiai. Davanti alla nostra auto, ce n’erano altre tre, tutte blu. Da quella di mezzo scese un uomo basso e con pochi capelli, subito circondato da numerose guardie del corpo. Era il cavalier Silvio Berlusconi. Da un’altra auto blu scese un uomo più alto, con i baffi: Massimo Vitta Zelman, il proprietario della casa editrice Electa. Einaudi era ancora seduto dietro di me, e ancora non parlava. Fui io a scendere per primo, e quando aprii lo sportello lui non poté fare a meno di venir fuori. Mi rivolse un’occhiata indecifrabile – arrabbiata, disperata, semplicemente triste? – e poi raggiunse gli altri due. Si strinsero la mano ed entrarono in un portone. Io e gli altri autisti ci predisponemmo ad aspettare. Non durò a lungo; dopo dieci minuti, l’incontro era già finito. Einaudi aveva la stessa espressione di prima: arrabbiata, o disperata, o triste, o forse tutte e tre le cose insieme. Gli aprii lo sportello, lui salì in macchina e poi mi misi al volante. ‘Possiamo andare’, mi disse, ed erano le prime parole che gli sentivo pronunciare quel giorno. ‘Dove la porto?’, domandai. ‘A casa’. Quel giorno la Mondadori di Berlusconi aveva comprato la Giulio Einaudi Editore”.