il Fatto Quotidiano, 25 novembre 2019
Un tempio in Islanda dedicato a Thor
Il segnale divino, si racconta, fu di quelli scontati. Cioè, un fulmine. Erano i giorni di Natale del lontano 1972 e gli adoratori neopagani di Thor e Odino visitarono un ministro islandese, nel centro di Reykjavik, per chiedere il riconoscimento ufficiale alla religione dei loro avi norreni e vichinghi. Il politico li congedò scettico ma subito dopo Thor, dio del martello e dei lampi, scagliò un fulmine sul ministero, lasciandolo al buio.
Fu così che dal 1973 in poi – benché quei neopagani fossero poche decine – l’Islanda riconobbe il culto Ásatrú, che predica fratellanza, pace e un panteismo tra new age ed ecologismo, che si richiama alla benedetta armonia con la natura. Tutto nel nome di Thor. Il piccolo Stato dell’isola più a nord d’Europa destinò ai seguaci della nuova religione anche i proventi di una tassa, soknargjald, una sorte di otto per mille locale. A distanza di 46 anni, oggi in Islanda i neopagani di Thor sono oltre quattromila (superiori ai buddisti) su una popolazione di 300mila.
Non solo, dopo mille anni, è imminente l’apertura di un tempio dedicato al dio del martello. L’ultimo risale ai tempi del re Olav di Norvegia che convertì al cattolicesimo gli islandesi, minacciandoli di invadere l’isola. La costruzione, interamente in legno autoctono, è stata disegnata con varie geometrie che esaltano il numero 9, il numero magico della mitologia norrena. Il gran sacerdote è un musicista colto e ironico che si chiama Hilmar Hilmarsson che, a scanso di equivoci, ha spiegato che Thor non può essere accostato al vento di destra che soffia di nuovo in Europa.
No al nazionalismo, dunque. E sì invece all’aborto e ai matrimoni gay. Nelle loro funzioni i neopagani islandesi cantano, raccontano storie e concludono banchettando con carne di cavallo. I riti nuziali hanno valore legale e in questi anni ci sono state finanche celebrazioni comuni con la Chiesa nazionale luterana, la principale fede cristiana in Islanda.