Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  novembre 25 Lunedì calendario

Intervista a Noah Rubin

È seduto al bar e da lì lavora. È la Gola Profonda del tennis. La spia che venne dal campo. Quello che trova le parole per dirlo. Per raccontare e raccordare delusioni, depressioni, disagi. Lui sa, perché ci è passato. Sì, perché Noah Rubin, 23 anni, barba curata, computer, è un tennista americano che da juniores ha vinto Wimbledon (2014) e che tre stagioni prima aveva strappato a John McEnroe la frase «È il talento più grande che abbiamo». Rubin, professionista dal 2015, è l’ideatore su Instagram di «Behind the Racquet », diario sofferto, personale e pubblico delle grandi e piccole stelle del tennis. Da Andreescu a De Minaur a Kvitova: alti e bassi, smash e fughe.
Noah, il suo Tennisgate da dove nasce?
«Non dalla voglia di smascherare quello che è il mio mondo. M’interessa il lato umano, non sputtanare qualcuno. Io sono di New York, sono cresciuto a Long Island, a 3 anni mio padre mi ha messo la racchetta in mano. Il tennis mi ha aperto il mondo, ma oggi mi sento molto più vecchio di quello che sono, forse perché ho dovuto affrontare ostacoli molto più grandi della mia età. Vinci e poi non vinci più. Ti chiedi: io sono lo stesso, cosa è successo? Perché questa pena? Mi è capitato una notte in Spagna dopo aver perso al 1° turno in un challenger. Erano le 23 e stavo piangendo a letto, da solo, per la delusione di non essere quello che credevo. Non solo: al mio grande amico e collega Darian King nel 2010 è morta la madre, io l’ho saputo molto dopo e mi sono chiesto come sia stato possibile che noi tennisti non riusciamo a comunicare i grandi sentimenti che ci attraversano».
Con lei si confessano tutti.
«Sono un giocatore, uno di loro. Sanno che possono fidarsi, non ci sono intermediari. Raccolgo io le testimonianze, spesso al telefono, mi faccio solo un po’ aiutare nelle trascrizioni, e prima di mandarlo online rileggo ai protagonisti le loro storie. Nulla va senza la loro approvazione».
Spesso sono storie di adolescenti abusati dallo sport.
«Monica Puig a 23 anni a Rio è la prima portoricana a vincere un oro nel tennis ai Giochi. Poi il buio, tre anni difficili, pianti e depressioni, ora è n. 79. Melanie Oudin, Usa, 17enne, arriva nei quarti all’Us Open battendo anche Sharapova, nel 2011 vince il doppio, nel 2019 a soli 25 anni abbandona per rabdomiolisi, malattia che procura la decomposizione della muscolatura. Non m’interesso solo dei lati oscuri del nostro sport, voglio dare a tutti una piattaforma da condividere».
Non si vive di solo Federer.
«La gente vede i grandi campioni alzare la braccia, ma non sa quanto costi provare ad arrivare fino a lì.
Persi e dispersi. Su una cosa voglio essere assolutamente chiaro: il tennis si è rotto, così non può più andare avanti».
Perché?
«Si gioca troppo. La stagione è massacrante, ti brucia. Appena tre settimane di vacanze. Bisogna accorciare partite e programmi.
Anche per proteggere il pubblico, ci sono set in cui il giocatore in svantaggio non cerca nemmeno di recuperare, per non sprecare energie. I grandi hanno tutta l’assistenza del mondo, fisioterapisti, assistenti, tecnici, allenatori, i piccoli si sfiancano in condizioni miserabili. Io ora sono il n. 214 nel mondo, devo pagarmi tutto, a fine anno, tasse comprese, mi restano di guadagno 20 mila dollari. Viaggi sempre, alla ricerca di punti, più spesso trovi conforto nell’abuso di alcol e di sostanze, vuoi dimenticare il mazzo che ti sei fatto per niente. Sei scorato, non ti diverti più, magari qualcuno ti parla di scommesse. Non sto parlando di me».
Avviso a Sinner e alla NextGen?
«Sinner ha muscoli e intelligenza di uno che ha il doppio della sua età. Gli direi: non ti preoccupare se per sei mesi non riesci a vincere, ma allarmati se perdi il gusto di giocare. Non ti vergognare di chiedere aiuto, se hai qualcosa che ti morde il cuore. Non c’è nulla che non va in te, è solo che non si può sempre essere faster and stronger».