La Stampa, 25 novembre 2019
Roberto Burioni nel film di Elisabetta Sgarbi
La scienza è autoritaria perché i numeri non lasciano scampo. Ho in mano un peso di ottone da cento grammi. Lo metto sulla bilancia. La bilancia ci dice che pesa cento grammi. Questa è l’autorevolezza dei fatti. Se qualcuno ci dicesse che questo stesso peso pesa trenta grammi oppure che un peso di ottone galleggia, purtroppo non avrebbe ragione: i fatti lo contraddicono. La scienza dev’essere autorevole, perché la forza del numero sprigionato da una bilancia è ben diversa da un’opinione. Posso pensare che il peso che ho in mano abbia un gradevole aspetto, o che sia fastidioso al tatto, pesante da sollevare oppure leggero. Tutto questo è legittimo. Ma il numero segnato dalla bilancia ha un’autorevolezza ben superiore a quella di ogni opinione. Beninteso, le opinioni solo legittime e sono una cosa bellissima, arricchiscono la nostra vita, ma non devono immaginare di poter scalfire i fatti.
La scienza sembra essere, attraverso queste parole, molto poco democratica, e per certi aspetti lo è. Ma è in realtà quanto di più democratico esista, perché se qualcuno dimostrasse che ho misurato il peso in maniera sbagliata, anche se fossimo in mille a sostenere la mia misurazione, potrebbe avere ragione lui. La scienza è fatta di dati, è fatta di condivisione tra pari. Non di approvazione popolare.
Ma in questo mondo dove l’autorevolezza è perduta, dove su Internet tutti possono parlare di tutto, a noi scienziati e a noi medici è richiesto qualcosa di più. Non solo dobbiamo condividere con le persone i nostri risultati, i nostri progetti e le nostre vittorie, ma anche le nostre sconfitte. Dobbiamo essere convincenti. Non basta dire le cose esatte, bisogna anche raccontarle in un modo che persuada le persone che dietro quelle parole non c’è un’opinione ma la forza dei fatti e della scienza, che per quanto sia poco è tutto quello che abbiamo per avvicinarci alla verità. La politica ha sempre meno rispetto della conoscenza e dell’esperienza, è un cambiamento in atto non solo in Italia, anche in molti altri paesi. La politica deve invece tener conto della scienza: se un meteorologo dice che il clima sta cambiando, può anche essere espresso un voto contro questa evidenza, ma il clima continua a cambiare.
La poca considerazione e il timore nei confronti dei vaccini possono essere ricondotti a due ragioni.
La prima è in sé molto bella: abbiamo perso il ricordo di malattie terribili. Quando, un tempo, una mamma vedeva il figlio dell’amica finire in tre giorni paralizzato in un polmone d’acciaio o un qualche calciatore famoso moriva di una malattia prevenibile tramite vaccinazione, non c’era bisogno di convincere le persone. Tutti erano felici, entusiasti di poter vaccinare i figli. Per fortuna non abbiamo più esperienza diretta di queste malattie, se ne è perciò perso il ricordo e si è persa la memoria di cosa altre hanno significato, come per esempio il morbillo. In molti dicono «io l’ho avuto e non mi è successo niente», ma quelli che sono morti, quelle centinaia di bambini miei coetanei che sono morti negli anni Sessanta, non possono dirlo. Chi è morto non può parlare.
E poi c’è la seconda ragione: la paura. È così facile spaventare le persone! La paura è un nostro sentimento profondo, che spesso ci salva la vita. Mentre assistiamo al concerto di un violinista tramite il cui genio mille persone ascoltano in silenzio, basta una voce che gridi «c’è una bomba!» e tutti scappano via. La paura ha un grande vantaggio sulla ragionevolezza, sulla razionalità. La paura è qualcosa di antico e di difficile da sconfiggere. Per questo i ciarlatani che raccontano bugie sui vaccini hanno un gioco così facile: perché sfruttano la paura, spaventano i genitori, che, terrorizzati da qualcosa che non dovrebbe terrorizzarli, non vaccinano i figli, dimenticando invece che quello di cui si deve avere paura, oltre alla paura stessa, è il ritorno di malattie molto pericolose, che possiamo evitare in tutta sicurezza.
Da bambini, negli anni Sessanta, immaginavamo navi spaziali, basi lunari, uomini su Marte e su Giove, invece nulla di tutto questo è successo. Immaginavamo qualcosa di immensamente grande e invece il futuro è stato l’immensamente piccolo: computer sempre più piccoli, batteri che abbiamo imparato a modificare, Dna che abbiamo trovato il modo di analizzare come mai nessuno avrebbe potuto immaginare. Il futuro risulta molto difficile da prevedere, è complicato comprendere quello che accadrà per le malattie infettive, come circoleranno, se ne riceveremo o porteremo noi in altri luoghi.
Immaginiamo di avere davanti a noi un tavolo con sopra tanti pesi di ottone, ciascuno diverso per grammi. Il tavolo riesce a sopportare tranquillamente tutti i pesi: immaginare che uno di media dimensione possa sfondarlo è veramente poco intelligente, pensare che possa sfondarlo il più piccolo tra tutti è veramente da babbei. I vaccini possono sembrare tanti ma sono in realtà un nulla. Rappresentano per il nostro sistema immunitario molto meno del più piccolo di questi pesi d’ottone per il tavolo che idealmente li sostiene. I vaccini sono costituiti da singoli componenti che stimolano il nostro sistema immunitario. Si chiamano «antigeni». Sommando tutti i vaccini, contiamo circa 260 antigeni. Ebbene, quando il nostro organismo entra in contatto con una puntura di zanzara, gli antigeni che incontra sono alcune migliaia. Quando un bambino si fa un piccolo graffio sulla pelle il numero di antigeni sale a svariati milioni. I vaccini che venivano usati un tempo contenevano molti più antigeni, erano meno efficaci e meno purificati, siamo andati perciò verso un’evoluzione più sicura ed efficace, cosa che dovrebbe renderci più sereni.
Dunque i vaccini rappresentano qualcosa di notevolmente inferiore del più piccolo dei pesi di ottone sul tavolo del nostro sistema immunitario. Pensare di sovraccaricare il sistema immunitario con i vaccini attualmente in uso è come pensare di far crollare un solaio facendoci passare sopra una colonia di formiche.