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 2019  novembre 24 Domenica calendario

Biografia di Simone Morandi raccontata da lui stesso

Simone Morandi da bambino: “Dallo studio di papà e da casa passavano personaggi straordinari, da Federico Fellini a Marcello Mastroianni. Papà era il loro avvocato”.
Simone Morandi da ragazzo: “Amavo le materie scientifiche, poi mi sono lasciato sedurre dalle tradizioni famigliari, e ho seguito la strada professionale di mio padre. Ma non ho rilevato il suo studio. Sì, sono anche io un avvocato”.
Simone Morandi da uomo: “Nel 2010 durante una cena ho conosciuto una celebre astrologa: ‘Tu secondo me sei portato per i segni’. Non ci avevo mai pensato”.
Simone Morandi oggi: è Simon & the stars, il neo guru delle stelle, centinaia di migliaia di contatti sui social, una serie di libri pubblicati con Mondadori, ospitate in televisione, un’avventura in Pechino Express su Rai2 (“Non andata benissimo”), e un programma fittissimo di presentazioni nelle librerie di tutta Italia (“appuntamenti infiniti, tutti mi chiedono consigli, sembrano sedute di psicoterapia”).
A 45 anni non ha perso negli occhi e nel sorriso il piacere di stupirsi e, quando racconta di questa sua seconda vita (“resto un avvocato, sia ben chiaro”), appare più uno spettatore felice del film appena visto che il protagonista del film stesso. Se viene fermato – più o meno ogni due passi, e con reazioni al limite del fanatismo – indossa un reale atteggiamento di condivisione emotiva, come tra amici ai tempi del liceo.
Alcuni scrittori sono terrorizzati dalle presentazioni.
Domani ho date in Sicilia, poi in Sardegna, e via così.
Si chiama “tour”.
A volte anche due tappe in un giorno solo.
Presenze?
A Bologna oltre 150 persone, mentre a Milano sono stati costretti a chiudere le porte della libreria, e alcuni sono rimasti fuori.
E non può fermarsi solo alla firma del libro.
Ognuno ha una storia da raccontare, una domanda da rivolgere e una risposta da portare a casa: i miei firmacopie diventano una sorta di processione al seggio papale.
Benedice.
Se la libraia è brava, mi metto d’accordo prima dell’inizio: lei poliziotto cattivo, io quello buono, così a un certo punto manda via le persone e io provo a ribellarmi.
E se la libraia non capisce…
Sono un uomo finito: a Book City di Milano sono rimasto da solo, non vedevo più l’uscita, e davanti a me una fila interminabile. Per fortuna mi diverto.
È una responsabilità.
I lettori arrivano con domande specifiche, e soprattutto c’è un desiderio di contatto umano non previsto: le persone mi pongono le questioni senza neanche specificare il segno zodiacale.
Quindi?
È una richiesta di attenzione che va oltre il mio criterio di lettura.
Il suo target.
Al novanta per cento donne.
Come mai?
Sull’astrologia c’è una questione di pudore da parte degli uomini, e me ne accorgo durante le cene quando a un certo punto arriva sempre il momento dedicato ai segni.
E parte l’assedio a lei.
Le donne s’infuocano, in certi casi è imbarazzante.
Monopolizza la serata.
Totalmente, alcune volte chiedo ai padroni di casa di non rivelare il lato “Simon”, e cerco di lasciare solo il mio status da Clark Kent, anche se lui era giornalista.
Torniamo all’imbarazzante.
Accade nell’ambito dell’inaspettato; una volta accompagno un cliente in Rai per una conferenza stampa su una fiction. Lui era il regista.
Nome del regista?
È un cliente, lasciamo perdere. Giusto il tempo di scendere dal taxi che arriva una ragazza dell’ufficio stampa, mi preleva e porta dalle sue colleghe in quanto “Simon”; in un’altra riunione lo stesso regista è stato costretto a scattare la foto con me circondato da imprevedibili fan.
E lei?
Morto, distrutto. Usciti dalla riunione ero pronto a ricevere il cazziatone.
Quindi le causa qualche problema di lavoro.
Per fortuna no, di solito la veste “Simon” diverte, e i miei clienti li seguo da tanti anni, hanno visto nascere il fenomeno.
Davvero?
Nell’aprile 2013 avevo iniziato a scrivere sui social in anonimato; dopo sei mesi, di sera, decido di pubblicare una mia foto accompagnata dalla bio. La mattina dopo, credo appena arrivato nello studio, squilla il telefono: era Carla Signoris. Risponde la segretaria: “Mi scusi la domanda, ma Simon e l’avvocato sono la medesima persona?”. Sì.
Agitata?
Felicissima, mi leggeva da mesi.
L’oroscopo è una forma di potere?
Forse sì, e come dice lo zio di Spiderman va “usato con grande responsabilità”: l’astrologo, credo come lo psicologo, deve tracciare un quadro, poi dobbiamo essere noi a decidere.
Mischia mai “Simon” con l’avvocato Morandi?
Capita di studiare le stelle prima di avviare dei progetti, ma evito condizionamenti nella gestione, vado avanti ugualmente; magari insisto solo se vedo possibili risultati positivi.
I clienti chiedono l’oroscopo sui progetti?
Capita, la maggior parte dei miei assistiti sono registi e sceneggiatori.
Ama la professione d’avvocato?
Molto, e la storia di Superman e Clark Kent non è casuale, mi appartiene: avere la testa impiegata su due fronti quasi mi aiuta in entrambi i campi, ognuno diventa il ristoro dell’altro, e tutti e due possiedono un sottofondo di conforto.
Cioè?
Prevedono l’ascolto reale; c’è un amico-collega che lavora a Los Angeles, secondo il quale a Hollywood diventerei un’istituzione.
Suo padre.
È stato il socio di Giovanna Cau (classe 1923, laureata nel 1946, è il decano dei legali del cinema): lei ha seguito il top degli artisti, da Alberto Moravia a Marcello Mastroianni, ma prima di mio padre divideva lo studio con un altro partner, che a un certo punto ha deciso di lasciare la professione e dedicarsi alla pittura.
E…
Negli anni Sessanta una donna non poteva gestire, da sola, un lavoro di così alta responsabilità, quindi per molto tempo Giovanna ha finto che tutto fosse normale, e s’inventava scuse per l’assenza del socio: “È a Cannes; è a Venezia; è fuori per lavoro”, fino a quando ha incontrato mio padre.
(Scoppia a ridere).
Che succede?
Anche la mia socia all’inizio si è terrorizzata per un mio ipotetico abbandono, l’ho dovuta rasserenare.
Suo padre seguiva Fellini.
Non solo lui, ricordo benissimo Mastroianni, lo stesso Moravia, Ugo Tognazzi… Un venerdì papà mi dice: “Questo weekend andiamo a Lucca, ospiti di Marcello”. Io incerto. Poi lì mi sono trovato in una realtà surreale, una villa bellissima, ognuno la sua stanza, e per tre giorni, sottolineo “tre”, tutti siamo stati appresso a un ragù di carne.
È un film?
Esatto, come in Sabato, domenica e lunedì, oppure una delle pellicole girate da Ozon.
La intimorivano?
No, li vedevo sempre, invece subivo un grande fascino dal Sistina, le cene con Pietro Garinei dentro al teatro, la prima del Rugantino, lo stupore nel toccare la lama della ghigliottina e scoprire che era di spugna.
I suoi amici le chiedevano?
Di loro no, però negli anni Ottanta vennero a cena da noi Jerry Calà con Mara Venier, e in quel periodo la fama di Jerry era a livelli altissimi; per questo nascosi sotto il tavolo un registratore: dovevo testimoniare che non dicevo balle.
Discolo.
Sempre stato bravo a scuola, con botte impreviste di follia e imprevedibili atti di goliardia; un paio di volte mi hanno sospeso.
Esempio.
Era appena uscito 9 settimane e 1/2, in classe avevamo una tendina simile a quella del film, così improvvisavamo lo stesso spogliarello, ma se la visione dentro la classe manteneva una sua forma di bellezza, chi assisteva da fuori l’istituto si trovava delle chiappe all’aria…
Risultato?
Un giorno a casa. Ma, ribadisco, ero così, imprevedibile e facile alla noia; per questo nel luglio del 1985 papà mi spedisce a Capo Vaticano, nella villa di Giuseppe Berto. Lì presente c’era la moglie. Posto bellissimo, ma una rottura di palle assurda. Un giorno trovo un barattolo di vetro pieno di zollette di zucchero, una diversa dall’altra, e per impegnare il tempo decido di mangiarle. Dopo un po’ arriva lei e le prende un colpo: erano le zollette raccolte in trent’anni di matrimonio e di viaggi in posti sparsi per il mondo, alcune delle quali ovviamente stravecchie.
Sapeva di diventare avvocato?
No, ero un nerd da ingegneria aerospaziale, poi l’eco famigliare mi ha guidato, ma non ho seguito pedissequamente le sue orme: mi sono iscritto al corso Rai di sceneggiatura, e dei mondi si sono spalancati.
Traduzione.
Ho conosciuto le nuove generazioni di sceneggiatori, e molti di loro sono diventati clienti; poi nel 2005 ho aperto una società di produzione e distribuzione cinematografica e per cinque anni ho venduto 20-25 film a Sky.
Lei conosce tutti nel cinema.
Sì, ma come diceva Andrea Pazienza, molti sanno di me ma non mi associano all’identità stessa.
Qual è il suo fine?
L’astrologia è uno strumento di riflessione, quando ho iniziato a studiarla credevo che mi avrebbe permesso di conoscermi meglio.
L’evoluzione successiva?
La scrittura di un romanzo, ma ci arriverò tardi.
Legge molto?
Tantissimo, con criteri di scelta strampalati, da Stephen King a Isabel Allende o Elena Ferrante, più ogni tanto un classico come Alexandre Dumas.
Lei è centrato.
Mi sto avvicinando al centro e l’astrologia mi ha aiutato; il prossimo anno mi piacerebbe organizzare corsi per offrire agli altri degli strumenti di riflessione, non risposte.
Com’è nato Simon?
Nel 2010 vado a un compleanno e incontro Luisa De Giuli (astrologa), alla fine ci parlo tutta la sera, mi intriga, e il giorno dopo ho acquistato il primo libro.
Oggi in quanti la seguono?
Sono 275.000 persone sui social.
All’inizio non le girava la testa?
Totalmente, mi sembrava di vivere nel Truman Show.
I suoi colleghi astrologi sono gelosi?
Molti non li conosco, pare che una volta Branko (scrive sul il Messaggero) abbia detto: “Poco oroscopo, tanta filosofia”.
È andato a “Pechino Ex-
press”.
Bene le prime puntate di rodaggio, tutti carini e amichevoli, dalla quarta settimana in poi, quando il gioco è diventato duro e non si facevano più prigionieri la quotidianità si è tramutata e non era il mio mondo.
È l’avvocato di Antonio Pennacchi.
Con me si diverte.
La prende in giro.
Eccome. Però ha il dono della preveggenza: una mattina lo vado a prendere in auto e sul cruscotto trova un libro di astrologia. “Che è?”. “Lo sto studiando”. “Non è che te metti a fa’ l’astrologo?”. “No, assolutamente”. Due anni dopo avevo iniziato.
E lui?
Ogni tanto mi spara un “tacci tua!”. Però viene sempre alle mie presentazioni, e finge di lamentarsi: “Aoh, ce so’ più persone che da me”. Comunque lui molto carino con me, mi ha scritto messaggi belli, fuori dal suo registro dissacrante.
Pennacchi chiede l’oroscopo?
A modo suo, non in maniera diretta.
Si stanca?
Un po’ sì, non mi fermo mai.
Alla fine tutti vogliono un pezzetto di lei.
Ogni tanto mi viene da sbroccare, ma resisto.
Si salva con l’educazione.
Eh…
Cosa direbbe sbroccando?
Ma vivete un po’ di più!
Educato.
Non scrivo l’oroscopo giornaliero per evitare il trappolone: l’astrologia è un’ispirazione, non si possono cercare le verità assolute.
La domanda più comune?
Se un uomo impegnato lascerà la donna: “il triangolo” è la figura geometrica più frequente.
Le chiedono l’oroscopo personalizzato?
Di continuo, sono subissato di richieste ed email, mi offrono cifre imbarazzanti, potrei tranquillamente ottenere 500 euro a consulto.
Ma…
Non mi piace a livello etico; e poi credo di non essere in grado di dare una risposta a chi la ricerca in maniera ossessiva; certe risposte ognuno di noi le può trovare altrove, magari attraverso un classico della letteratura…
(O come diceva Corrado Guzzanti nelle vesti di Quelo: “Conosci te stesso (e non rompere il cazzo a me)”.