il Giornale, 24 novembre 2019
Biografia di Emanuele Dessì
Da paria con amici poco raccomandabili a simbolo del democraticamente corretto a Cinque stelle il passo può essere breve. Specie se si dispone di un seggio a Palazzo Madama e ci si chiama Emanuele Dessì (nel tondo).
Classe 1964, nato a Roma ma residente a Frascati (dell’alloggio se ne parla dopo), diploma di maturità scientifica, il senatore in questione è maestro di boxe e secondo il sito Openpolis di mestiere è «dirigente/funzionario pubblico», secondo Palazzo Madama è «amministratore o manager» e secondo la sua (di lui, Dessì) pagina Facebook lavora presso una srl di traslochi le cui tracce social si perdono nel 2014. Professione a parte, di Dessì ci si occupa perché in questi giorni si è proposto a sorpresa come oppositore del suo capo: quel Luigi Di Maio, l’ancor giovane ma infallibile distruttore del M5s che dall’anno scorso nei ritagli di tempo è stato vicepremier, ministro dello Sviluppo economico e del Lavoro, il quale ora – stando al sito del governo e a quello della Farnesina – risulta ministro degli Esteri.
Di Maio viene smentito dalla piattaforma Rousseau? E Dessì lancia il suo ultimatum: «torniamo immediatamente alla gestione collegiale». E perché? «Gli uomini soli al comando, nei gruppi come il nostro, non funzionano». Un richiamo all’«uno vale uno».
L’enfant prodige dei Cinque stelle viene soccorso – per modo di dire, ma non stiamo a sottilizzare ché il senatore non è il tipo – da Beppe Grillo, che invita tutti a non rompere i coglioni? E Dessì mena – verbalmente, s’intende – pure il carismatico garante: «A rompere i coglioni mi ha insegnato lui, e gli insegnamenti di un padre non si mettono mai da parte». Altra rude rivendicazione dell’ortodossia.
Insomma Dessì, dopo un anno e mezzo trascorso da bravo soldatino (98,90% di presenza in Senato, 0,16% di voti in dissenso rispetto al gruppo, cinque disegni di legge presentati come primo firmatario...) sembra aver ritrovato la verve che lo aveva portato sotto i riflettori qualche settimana prima di essere eletto al Senato.
Nel gennaio del 2018 era stato ripescato in rete un suo post del 2015 nel quale scriveva testualmente «Per la terza volta in vita mia ho dovuto menare ad un ragazzo rumeno a seguito di offese gratuite nella sua lingua madre purtroppo non si rendono conto che ormai le loro parolacce le capiscono tutti». Sempre poco prima del voto del marzo 2018 era spuntato anche un suo video con Domenico Spada, componente del clan più conosciuto di Ostia e non per faccende positive. E negli stessi giorni era anche venuto fuori che Dessì viveva (eccoci all’alloggio) in una casa popolare per la quale pagava al proprietario, il Comune di Frascati, 7 euro e 75 al mese di affitto. Il destino del manesco impresentabile (secondo nel proporzionale a Latina) sembrava segnato, anche perché Di Maio aveva detto di averlo catechizzato ben bene: tranquilli, rinuncia alla candidatura; o comunque firma l’impegno a rinunciare al seggio; o comunque interverranno i probiviri; o comunque non farà parte del nostro gruppo del Senato. S’è visto.
Non si può pretendere che gli enfant prodige sappiano che in politica la gratitudine non esiste.