Robinson, 24 novembre 2019
È la stampa, bellezza! Storia di un’immagine
Un film americano. I giornalisti corrono ai telefoni per dettare il loro pezzo al giornale cercando di anticipare i concorrenti: «Signorina, mi passi gli stenografi». Come in Prima pagina di Billy Wilder. Dall’altra parte dell’apparecchio uno stenografo trascrive o un dittafono registra.
Ognuno dentro la sua cabina, solo e insieme in rapporto con il mondo cui è destinato, domani, quello che ha scritto. Ora nelle cabine non ci sono più i telefoni con le cornette, per cui le donne e gli uomini che seguono le audizioni dei testimoni a Capitol Hill di Washington per l’impeachment di Donald Trump, hanno trovato lo spazio per lavorare all’interno dei parallelepipedi di legno.
Vi si accomodano con computer e apparecchi cellulari. La prima, rivolta verso l’esterno, legge dallo smartphone o vi scrive un messaggio; il secondo e il terzo hanno installato il personal computer sul ripiano interno; la quarta beve da un bicchiere e regge l’i-Phone; la quinta è piegata in avanti per prendere qualcosa dallo zaino. La luce li illumina dall’alto. Ricordano i personaggi di una scena metropolitana di Edward Hopper: soli e insieme. Soli perché non parlano tra loro? Soli perché comunicano con qualcuno che non c’è, che è altrove e distante? Ci sarà qualcuno al di là dei loro schermi retroilluminati, qualcuno che è pronto a raccogliere le loro parole, le loro comunicazioni, i loro scritti, o solo una macchina intelligente, che smista tutto e lo riproduce in una forma a sua volta digitale? Non è dato di sapere. Non si può non notare che lo scatto di Sarah Silbiger li ha messi più o meno involontariamente in posa, come in una foto di Jeff Wall.
Perfetti nella loro postura: la ragazza seduta, i due uomini di schiena, una in piedi e l’altra piegata. I veri protagonisti non sono loro, bensì le cabine con le loro scritte luminose: Charge a Call, Telephone, Telephone, Telephone, Telephone.