Il Sole 24 Ore, 24 novembre 2019
Storia di Cassa Depositi e Prestiti
L’operatività della Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) riflette come poche altre istituzioni la storia dello sviluppo economico e sociale italiano e la sua collocazione internazionale. Da un lato la sua longevità – la nascita precede di un decennio l’unificazione – la qualifica come una pietra miliare su cui fu costituita la strategia degli investimenti pubblici che dal Regno di Sardegna fu estesa al Regno d’Italia, dall’altro le sue metamorfosi organizzative descrivono la formazione e i cambiamenti del capitalismo nazionale. La sua storia rispecchia non solo le trasformazioni interne ma anche la rivoluzione della geografia finanziaria globale che ha portato recentemente la Cassa a divenire uno strumento assai diverso rispetto alle sue origini.
Nata nel 1850 su modello della Caisse des Dèpôts et Consignations fondata dopo la caduta del Primo Impero, la Cdp ha lungamente agito quale mediatore finanziario fra i cittadini e gli enti locali provvedendo a raccogliere e gestire il risparmio privato investendolo in mutui a lungo termine. I finanziamenti alle amministrazioni locali erano dapprincipio orientati alla realizzazione di opere infrastrutturali d’interesse generale e, quindi, al miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini. È questo un punto centrale della vita del nuovo Stato che doveva affrontare un’unità svolta per aggiunzioni di realtà diseguali, la cui lentissima e mai completata armonizzazione è uno degli elementi che frenò la crescita del primo trentennio del Regno. Nel primo quindicennio postunitario la CdP non era l’unico centro di raccolta e di impiego della liquidità ma presto espanse le sue competenze assorbendo altri Enti ed Opere morali. Con il 1875, con l’allargamento dell’operatività all’intera penisola, divenne il principale interlocutore finanziario delle amministrazioni periferiche. In quell’anno alla Cassa fu delegata la gestione del risparmio raccolto attraverso la rete degli uffici postali e telegrafici: un salto di qualità al quale si legò l’allestimento di un sistema infrastrutturale praticamente inesistente. In un Paese in cui il risparmio privato è sempre stato tendenzialmente elevato e il sistema bancario per lungo tempo piuttosto fragile, la garanzia dello Stato spostò verso il risparmio postale consistenti quote di capitali. Così l’ingrossarsi della liquidità rese la Cdp un protagonista della vorticosa modernizzazione italiana testimoniata dall’aumento di circa 13 volte del reddito pro-capite dall’unificazione al primo decennio del XXI secolo.
Benché la sua storia sia insieme uno specchio della contraddittorietà delle politiche pubbliche e delle trasformazioni sociali nazionali, la Cassa ha fatto parte di un disegno amministrativo istituzionale attorno al quale sono maturati i presupposti per il primo miracolo economico: quello della fine del XIX secolo che avviò la conversione industriale del Paese. Fu in quegli anni, nel 1898, che l’Istituto fu assorbito dal Ministero del Tesoro e trasformato in Direzione Generale.
Nel primo secolo di vita la sua funzione d’intermediazione fu orientata al finanziamento di opere pubbliche e rientrava sostanzialmente in una filosofia di bilanci pubblici in pareggio e solo eccezionalmente – per finalità di crescita della dotazione di infrastrutture sociali – in disavanzo. Quest’attività trasforma, di fatto, la Cassa in una “cassaforte corrente” garantita dallo Stato. E non a caso fu la vocazione accentratrice del fascismo a rendere la Cdp uno degli assi attorno al quale si formò quasi inavvertitamente lo Stato imprenditore.
Nel 1925, sotto la presidenza del ministro delle Finanze Alberto De Stefani, saranno emessi i primi titoli obbligazionari, i Buoni Postali Fruttiferi: l’icona del risparmio italiano. I Buoni riscuotono da subito un gran numero di sottoscrizioni e rimarranno per decenni – almeno fino allo sviluppo di strumenti finanziari più evoluti – uno dei principali impieghi del risparmio privato. Nel periodo della Crisi del 1929-33, con la nazionalizzazione dei principali istituti bancari e la costituzione della costellazione di Istituti – l’Imi (Istituto mobiliare Italiano), l’Iri (Istituto per la Ricostruzione Industriale) l’Ina (Istituto Nazionale delle Assicurazioni) – che transiteranno sostanzialmente intatti dagli anni Trenta alla Ricostruzione, la Cdp acquisirà un ruolo sempre più rilevante nel finanziamento dell’infrastruttura sociale di un Paese che si rivolge all’edificazione di un Welfare State moderno.
La sua storia ha ricevuto un’attenzione assai limitata rispetto all’ampiezza dei suoi compiti e alla durata della sua esperienza, e anzi – se si eccettuano le recenti trasformazioni in una sorta di Banca Nazionale di Sviluppo – assai poco è stato scritto rispetto alla traiettoria istituzionale che si è sviluppata parallelamente alla storia nazionale. L’unico libro scientifico dedicato alla Cassa è, infatti, un volume del 2001 curato da Marcello de Cecco e Gianni Toniolo. Uno studio che scompone in cinque parti la storia della Cdp testimoniando l’attività in altrettanti tornanti dell’economia italiana, non ultimi la Seconda guerra mondiale e la Ricostruzione. Negli anni precedenti il boom l’Istituto rafforza ulteriormente la propria posizione nello scenario economico nazionale, acquisendo una posizione quasi monopolistica nel sostegno degli investimenti degli Enti Locali. Negli anni della trasformazione urbanistica del Paese, il programma di edilizia popolare avviato con i piani Ina-Casa e i finanziamenti americani è integrato e completato da investimenti garantiti dalla Cdp che sostiene anche un gigantesco piano di edilizia scolastica di dimensioni comparabili a quello conosciuto dall’Italia Umbertina. Trasformata in una sorta di “Banca Unica” degli Enti locali, la Cassa è testimone delle fragilità e dei punti di forza del sistema finanziario nazionale. Da un lato l’affidabilità maturata la colloca stabilmente in testa alla raccolta del piccolo risparmio anche a seguito dell’irrobustirsi delle casse di risparmio, dall’altro il dilatarsi della sua operatività esprime un ruolo di supplenza non previsto rispetto alle dimensioni del mercato creditizio.
Quando nel 1972 la riforma tributaria contrae la capacità di spesa degli enti periferici la Cdp si ritrova a gestire l’ampliamento di attività in campi richieste di finanziamento difficilmente sostenibili. Negli anni in cui il Paese fa i conti con la fine dei “Trenta gloriosi” e con l’esplosione del debito pubblico, la dialettica centro-periferia si irrigidisce e inizia a maturare un progetto di riforma complessiva della Cassa. Riforma il cui processo inizierà nel 1977 con una commissione insediata da Gaetano Stammati e presieduta da Siro Lombardini che dopo sei anni sfocerà nella contraddittoria legge del 1983. Negli anni in cui si determinano le strutture che nel decennio successivo porteranno all’Unione monetaria europea e a seguito dell’introduzione del Sistema monetario europeo e al “divorzio” fra il Tesoro e la Banca d’Italia, l’autonomia gestionale della Cassa è dilatata e il dibattito sulla sua natura, sui suoi scopi sociali e sulla sua posizione nel capitalismo italiano inizia a diventare un luogo comune della politica. Che la sua nuova collocazione nel mercato dei crediti sia stata tardiva o meno, che il suo profilo attuale sia mutato rispetto alla filosofia con la quale si sviluppò la sua operatività storica, ciò che rimane incontrovertibile è il suo contributo alla crescita sociale del Paese, di certo fra i più significativi della storia unitaria.