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 2019  novembre 24 Domenica calendario

La disinformazione sul clima

È bastata una ragazzina agguerrita per far saltare i nervi agli esponenti di quel conservatorismo retrivo che da anni, con un’alleanza tra scienziati sul viale del tramonto, pseudoricercatori e giornalisti compiacenti (o solo ignoranti), va negando, contro un’evidenza scientifica robustissima, l’origine antropica del cambiamento climatico e persino la sua realtà. Era un po’ di tempo che le voci dei negazionisti non si facevano sentire pubblicamente, limitandosi a circolare su fogli amici, ma davanti al pericolo Greta Thunberg sono tornate a levarsi alte. Assistiamo così a una scena penosa e inquietante: un manipolo di vegliardi, privi (o quasi) di futuro, attacca con falsità scientifiche trite e ritrite una generazione di giovani che ha tutto da perdere dal modo in cui si sta decidendo l’avvenire del pianeta. “Studiate!”, si sentono ripetere questi ragazzi. In realtà stanno già studiando e continueranno a farlo. Lo stesso non si può dire dei loro accusatori, che, a dispetto dell’imponente letteratura scientifica accumulatasi negli ultimi decenni, continuano a spacciare per «congetture non dimostrate” quelle che sono ormai solide acquisizioni. 
Le tesi contenute nella recente «Petizione sul riscaldamento globale antropogenico», sottoscritta da un gruppo di studiosi italiani (esperti delle più svariate cose, fuorché – con qualche rara eccezione – del clima), sono state demolite punto per punto dai climatologi (si veda il sito www.climalteranti.it). Ciò tuttavia non ha impedito agli estensori di questo documento di trovare facile udienza presso un mondo politico e giornalistico pronto ad attribuire a una polemica strumentale la patente di «controversia scientifica». Si tratta evidentemente di una patente falsa, perché sulla questione del clima c’è un consenso – basato su argomenti razionali ed evidenze empiriche – pressoché totale nella comunità degli esperti. Il punto è che questa uniformità di vedute non si trasmette al pubblico: un’indagine condotta nel 2016 negli Stati Uniti ha mostrato che circa la metà degli americani non crede che il cambiamento climatico sia dovuto ad attività umane, e un quinto nega l’evidenza stessa di un aumento delle temperature. 
Il divario tra le opinioni degli esperti e quelle della gente comune ha cause diverse. Un ruolo cruciale è svolto dalla cattiva informazione, che ha prodotto una sorta di illusione ottica, instillando nel pubblico l’idea che la comunità scientifica sia divisa, e che regni un’incertezza tale da rendere accettabile qualunque posizione. Un rapporto di alcuni anni fa, commissionato dalla BBC, criticò fortemente la pratica, diffusissima, di cercare a ogni costo un confronto tra esperti e pseudoesperti, per un malriposto spirito di imparzialità o per motivi di audience. Da allora la BBC si è adeguata; da noi – è esperienza comune – niente sembra essere cambiato. 
Talvolta la disinformazione è opera dolosa di ricercatori mossi da ragioni ideologiche o di interesse. In un importante saggio, ora tradotto in italiano, gli storici Naomi Oreskes e Erik Conway hanno documentato in maniera dettagliata il modo in cui un gruppo di scienziati statunitensi, legati a centri ideologici di destra, è riuscito, per vari decenni, a occupare la scena pubblica con tesi negazioniste in materia di cancerogenicità del fumo, di buco dell’ozono e di cambiamenti climatici. Scrivono i due autori: «Il dubbio ha un’importanza cruciale per la scienza – quello che noi chiamiamo curiosità o scetticismo è ciò che spinge la scienza a progredire – ma nel contempo la rende vulnerabile alle rappresentazioni fuorvianti, perché è facile decontestualizzare le incertezze e creare l’impressione che tutto sia ancora irrisolto». In questo caso, come mostra la teoria delle decisioni, si tende a non fare nulla, mantenendo lo status quo – la soluzione auspicata dai «mercanti di dubbi» e dai loro committenti. A rendere efficace la strategia del dubbio – osservano Oreskes e Conway – è una visione erronea della scienza: «Tendiamo a pensare che la scienza fornisca certezze, quindi se le certezze mancano, siamo portati a ritenere che essa sia in errore o incompleta». Ma non è così: la scienza non produce certezze assolute, bensì evidenze passate al vaglio di analisi rigorose e controlli empirici; evidenze che, accumulandosi, diventano risolutive. Dopo di che, non ci sono più parti contrapposte, ma solo una conoscenza scientifica accettata. 
Uno dei protagonisti del libro di Oreskes e Conway è il fisico Frederick Seitz, che la «Petizione sul riscaldamento globale» cita come autorevole riferimento. Dopo aver ricevuto finanziamenti dalle industrie del tabacco per smentire – sulla base di un’inesistente competenza – la correlazione tra fumo e cancro, Seitz (morto nel 2008 a 96 anni) è passato – ancora da totale incompetente – a negare il cambiamento climatico per conto di un think tank sovvenzionato da compagnie petrolifere, producendo finti lavori scientifici e finendo con l’essere sconfessato dalla stessa prestigiosa istituzione, la National Academy of Sciences, che aveva presieduto: un campione di integrità da additare come esempio ai giovani… 
Greta e i suoi amici dicono di avere dalla loro parte la scienza. È vero, ed è una relativa novità per il movimento ambientalista (a ben pensarci, forse è proprio questo che spiega certe reazioni violente). Dalla parte opposta, c’è l’antiscienza, con i suoi vari esemplari umani: lasciamo pure che blaterino, ma – per piacere – senza megafoni.