Il Sole 24 Ore, 24 novembre 2019
Numeri che hanno decifrato il mondo
Anche chi non ha dovuto affrontare esami di matematica, forse per gioco o nel terribile momento di compilare una denuncia dei redditi, si sarà chiesto cosa sia un numero. Già, cos’è? Rispondiamo cercando un aiuto. Secondo l’antica scuola dei Pitagorici, ricorda una testimonianza di Aristotele nella Metafisica, «le cose sono esse stesse numeri». Il filosofo George Berkeley – correva il XVIII secolo – nel Trattato sui principi della conoscenza umana asserì che «è interamente creatura dello spirito». Immanuel Kant qualche decennio più tardi considerava il numero una pura operazione intellettuale. Se dovessimo aggiungere definizioni dei secoli successivi o di quello in corso, rischieremmo di ricorrere a formule, come sovente faceva uno dei padri dell’analisi matematica, Leonhard Euler. Eric T. Bell ne I grandi matematici ricorda che un giorno affrontò il miscredente Diderot, urlandogli in faccia: «a più b alla n, fratto n, è uguale a x; Dio esiste, rispondete».
Non è il caso di commentare la formula o di aggiungerne altre più laiche, è opportuno invece segnalare un libro di uno dei nostri migliori storici della matematica, Umberto Bottazzini, intitolato Istanti fatali. Nelle sue pagine troverete risposte sorprendenti e comprensibili al quesito da cui siamo partiti. E non soltanto sulla nascita dei numeri o sugli sforzi che l’umanità dovette compiere per sistemarli, ma anche sullo zero, su quelli chiamati immaginari e sui rapporti che essi hanno avuto con la letteratura o il pensiero in genere. Bottazzini tira in ballo l’Ulisse omerico o Leporello, il servo del Don Giovanni di Mozart intento a elencare le conquiste del suo padrone; non manca lo sfortunato schiavista Robinson Crusoe impegnato a contare i giorni sulla sua sperduta isola, né il potente matematico tedesco dell’Ottocento Leopold Kronecker. Quest’ultimo non credeva agli infiniti più grandi dell’infinità dei numeri naturali e, quando nel 1882 Ferdinand von Lindemann scoprì la natura del “p greco”, in una conferenza asserì: «I numeri trascendenti non esistono». Oggi sappiamo che quell’intuizione negata ha consentito la dimostrazione d’impossibilità di taluni antichi problemi geometrici, il più noto dei quali era la quadratura del cerchio.
Il libro di Bottazzini si legge come un lungo e piacevole racconto (non scriviamo romanzo, ché il genere è ormai alla frutta) e in esso si comprende perché in matematica il progresso non scenda dal cielo, né proceda in maniera lineare; anzi, il più delle volte necessita di uno scatto di genio. Deliziose le pagine sullo zero. L’idea di questo numero, che evoca il nulla e il vuoto, nasce in zone del nostro pianeta lontane dall’influenza greca, da quella di Aristotele in particolare, tanto che gran parte della cultura tomista fu tormentata dai possibili rimandi all’imbarazzante entità. Addirittura non pochi aristotelici, anche più vivaci del don Ferrante di Manzoni, negavano la possibilità di pensarlo. Lo zero, insomma: il niente che riesce a fare carriera diventando essenziale.
Si può continuare con I turbamenti del giovane Törless, romanzo d’esordio di Robert Musil. Il protagonista, dopo una lezione di matematica, chiede all’amico Beinberg «se ha capito quella faccenda dei numeri immaginari». E questi, candidamente: «Bisogna solo ricordarsi che l’unità di calcolo è la radice quadrata di meno uno». Törless ribatte che «è proprio questo il problema», convinto che non possa esistere. Per i fisici, invece, furono scoperti dalla natura ed eccoli utili alla meccanica quantistica. Non soltanto. Sono numeri che si credettero contorti, ma vanno pensati come anfibi tra l’essere e il nulla.