Il Sole 24 Ore, 24 novembre 2019
A colloquio con John Foot
Incontro John Foot a Bristol dove dal 2013 dirige il Dipartimento di italiano e insegna storia. Prima di questo incarico è stato per lungo tempo professore all’università di Londra. È uno dei massimi esperti dell’Italia contemporanea. Ha indagato su aspetti divisivi della nostra memoria collettiva e su fenomeni controversi: dal clamore mediatico di calciopoli alla riforma psichiatrica di Franco Basaglia. Il suo nuovo libro è un ritratto dell’Italia repubblicana dall’anno zero – la liberazione –, alle cronache dell’altro ieri. Si apre con Coppi e Bartali, campioni che riportano la normalità in un Paese distrutto, e si chiude con Mimmo Lucano, il sindaco di Riace, che Foot avrebbe dovuto incontrare per la prima volta a Londra nell’ambito del Fill (Festival of Italian Literature in London).
L’Italia e le sue storie dal 1945 al 2019 (Laterza) fin dal titolo rivela l’idea di una frammentarietà eletta a principio organizzativo: «Volevo scrivere un libro non accademico senza seguire un filo conduttore», sostiene Foot; un libro che non rispondesse a un concetto preordinato, come quello della nazione fallita, molto diffuso nella storiografia inglese, ma che «raccontasse l’Italia così com’è». Il risultato è un’opera ambiziosa per la mole di informazioni e la linearità dell’andamento cronologico, anche se i flashback sono ammessi, e personaggi importanti in un dato momento ricompaiono ad illustrare un altro fenomeno: viene in mente ancora Coppi, eroe del ciclismo su cui peserà l’onta del concubinaggio in anni che preludono alla legge sul divorzio. Foot riesce così ad intessere la Storia con una serie di “microstorie”, fatti apparentemente marginali, episodi privati che nelle sue mani assurgono a rappresentazioni più ampie. Per raccontare una società che stenta a diventare multiculturale, per esempio, Foot sceglie Balotelli, il calciatore famoso, ma anche il bersaglio di vergognosi cori razzisti. Le critiche sono arrivate anche allo storico: «Alcuni hanno già detto che Balotelli non c’entra niente con la storia italiana, ma io penso che sia un simbolo della difficoltà di integrazione, quasi il sogno americano di un bambino che viene abbandonato dalla famiglia d’origine, cresce in Italia e ha successo».
L’acume della ricerca si coniuga al talento del narratore. Molte pagine approfondiscono, allora, fili lasciati in sospeso nel corso di studi precedenti, mentre si riconoscono antiche passioni: Milano, la città in cui Foot ha vissuto per vent’anni, lo sport che consente varie interpretazioni, e il 1968, un anno chiave per le riforme e il costume sociale. A dare maggiore concretezza agli eventi spesso arrivano in soccorso le immagini di un film: «Il cinema è uno strumento molto radicato nella cultura popolare, è normale dire “l’Italia della dolce vita” per riferirsi al miracolo economico, o parlare di Rocco e i suoi fratelli per indicare l’emigrazione», osserva Foot che ne ha sperimentato più volte l’efficacia nelle sue classi e qui adotta lo stesso metodo.
Le contraddizioni emergono senza turbare il piacere della lettura. Una di queste risiede nel contrasto tra il rispetto della Costituzione e la scarsa fiducia nella classe dirigente, un argomento che è ritornato al centro dell’attenzione durante l’ultimo referendum. Per Foot ci sono vari motivi che alimentano questi sentimenti. La Costituzione è stata pensata per impedire il ritorno del fascismo e funziona molto bene come argine contro gli eccessi di potere: «Persino Berlusconi è stato bloccato più volte dalla Corte costituzionale». Talvolta, però, è difficile per la classe politica riformare il Paese e «l’Italia è cambiata profondamente dal dopoguerra a oggi, è passata dall’essere una società contadina a una società postindustriale, bruciando tutte le tappe, mentre i grandi partiti di massa che ne controllavano ogni aspetto non esistono più». Gli chiedo se questo doppio passo, tra una società che vorrebbe correre e un apparato istituzionale che rimane lento, abbia fomentato il mito politico della giovinezza, uno dei meriti di Renzi era quello di essere diventato presidente del consiglio a soli 39 anni. Per Foot si tratta di una retorica che coinvolge anche il Movimento Cinque Stelle: «La loro politica consiste nel voler sbloccare il Paese, ma non vedo nessuna azione concreta in questo senso. Servono riforme dell’università, degli ospedali, della pubblica amministrazione; il divario tra masse di giovani altamente qualificati e l’assenza di lavoro è un problema ovunque, ma lo è ancora di più in Italia. La retorica non basta. Quanto a Renzi, è diventato vecchio molto precocemente, ora è percepito come parte dell’establishment».
La disoccupazione alimenta anche l’emigrazione di giovani laureati che all’estero sperano di inserirsi in settori a loro preclusi. L’accademia, per esempio, e una delle mete principali è proprio il Regno Unito. Uno studio riportato da Foot ci dice che nel 2014 in Italia su oltre 13mila professori universitari solo 6 avevano meno di 40 anni. Foot spiega come nel corso degli anni i nuovi emigrati abbiano cementato un’identità collettiva sviluppando un risentimento verso la propria nazione. La ricerca si ferma cautamente prima di Brexit. È difficile prevedere come cambieranno le cose. L’Italia però è anche terra di approdo, e Lampedusa è diventata il simbolo della crisi migratoria e della propaganda politica. Molte pagine sono dedicate a questo aspetto centrale «spesso rimosso dai libri di storia». Nell’immaginario collettivo l’immigrato è quello che arriva con gli sbarchi ma, ricorda Foot, «l’8% della popolazione è straniera, molti arrivano per altre vie e seppur integrati sul luogo di lavoro non hanno alcuna rappresentanza o voce politica. La scuola rimane l’unico reale melting pot» (e qui mi viene in mente Benedetta Tobagi e il suo libro inchiesta, La scuola salvata dai bambini, Rizzoli 2016).
John Foot conosce a fondo le bellezze e le disfunzioni della società italiana. I suoi libri trasmettono sempre l’impressione di uno sguardo soggettivo. Elementi della sua biografia trapelano nella scrittura con il solito riserbo inglese: qui, per esempio, un prozio laburista sfila nel 1948 al funerale di un socialista italiano. Avverte, tuttavia, che in questo ultimo libro aveva bisogno di tenere una distanza, ha infatti tolto episodi personali sulla sua esperienza di straniero residente in Italia. Prima di salutarci, racconta il suo nuovo progetto: «Si parla molto di fascismo in questo momento, ma a me interessa come l’antifascismo ha influito sulla vita delle persone. Il regime ha accumulato un’enorme quantità di materiale archivistico perché ha spiato e perseguitato. Nel prossimo libro intreccio le storie di antifascisti noti con quelle delle gente comune».