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 2019  novembre 24 Domenica calendario

Tutti i tessuti del mondo

WIMBLEDONX È stata la produzione di vestiario e di altri prodotti da telaio a dare al genere umano la possibilità di sopravvivere
uando pensiamo alla vita, la prima cosa che ci viene in mente è l’immagine di un filo. E le nostre singole esistenze sono i diversi tempi e modi in cui quel filo viene tagliato, intrecciato, tramato, intessuto. I primi a dirlo furono i Greci che consegnarono i destini umani nelle mani infallibili di tre filatrici divine. Erano le Moire, arbitre assolute del fato. La più potente, Cloto, stava al fuso e realizzava il filo. La capricciosa Lachesi ne stabiliva la lunghezza. Mentre l’inesorabile Atropo decideva quando tagliarlo. I Romani le ribattezzarono Parche. E i popoli scandinavi Norne. Cambia il nome ma in ogni caso si tratta di filare, tessere e tagliare. E dai tempi remoti del mito, questa rappresentazione tessile della vita è giunta fino a noi. A ricordarcelo è Kassia St Clair, grande esperta di stoffe, disegni e colori, in un bel libro intitolato La trama del mondo, appena apparso per i tipi di Utet.
In realtà la storia dell’umanità è un ininterrotto fruscio di tessuti. Che riassumono epoche storiche e vicende individuali. E rivelano di che stoffa siano fatti i caratteri dei popoli, ma anche i temperamenti delle persone singole. Perché in realtà è stata la produzione di vestiario e di altri prodotti da telaio a dare al genere umano la possibilità di sopravvivere e vincere la sfida evolutiva. Basti pensare che, fino alle soglie della modernità, la lavorazione di panni e drappi richiedeva più ore di lavoro della fabbricazione della ceramica e della produzione di cibo messe insieme. Inoltre, filatura e tessitura avevano, oltre ad un incalcolabile valore pratico ed economico, un imponente plusvalore simbolico. Anche perché l’identità è sempre stata una questione di abito, e non solo per il monaco. Tra i divieti contenuti nel Vecchio Testamento c’è quello di indossare tessuti misti, di lana e lino. Perché le vesti dei sacerdoti erano fatte con entrambe le fibre. E questo mélange era una prerogativa esclusiva, che distingueva i ministri di Dio dai comuni mortali.
Lo splendore dei broccati, lo scintillio delle sete e il riverbero dei velluti sono la testimonianza materiale dell’opulenza e della ricchezza di civiltà come quella fiamminga, italiana, francese, spagnola. La grande pittura è tutta uno sfavillio di damaschi, di organze e di chiffon, immortalati sulle tele di artisti come Vermeer e Tiziano, Velasquez e Renoir. E serico è il filo che unisce l’Oriente all’Occidente. Splendore e mistero, ricchezza e bellezza, eleganza e potenza, regalità e sacralità, esotismo e feticismo. Sono mille i significati che hanno fatto di questo tessuto luccicante l’algoritmo del Levante. Taklamakan, Bukhara, Samarcanda, Damasco, Bagdad, Bisanzio, Venezia. Sulla via della seta, dove ogni nome è un’evocazione, hanno viaggiato merci, idee, religioni, istituzioni, costumi. E le vicende dei popoli si sono intrecciate in fitte trame di storia. Ma le stoffe sono anche l’emblema della modernità e della rivoluzione industriale, quando vengono alla ribalta tute blu e colletti bianchi. Basti pensare che nell’Inghilterra di metà Settecento le filande impiegavano oltre un milione di donne e bambini, su una popolazione che non arrivava a dieci milioni.
Secondo il grande storico Eric Hobsbawm, il vero simbolo dell’industrializzazione del mondo è il cotone, forse più del carbone e dell’acciaio. Anche perché il commercio di questo filato è stato uno dei primi fattori della globalizzazione. Nel secondo Ottocento il cotone rappresentava il 60 per cento del totale delle esportazioni statunitensi. E al mondo venti milioni di persone, la bellezza di una su sessantacinque, erano coinvolte nel business cotoniero. Da cui discendono divise globali come i jeans. Nati come pantaloni da lavoro e diventati la seconda pelle di un’umanità in transizione. Non a caso gli eroi simbolo della ribellione giovanile sono rigorosamente in jeans. Levi’s 501 per Marlon Brando ne Il selvaggio, blue navy per James Dean in Gioventù bruciata.
Fino ai Wrangler di Freddy Mercury e al “Mick”, il superslim disegnato da J Brand espressamente per la voce degli Stones. Ma il progresso significa anche fibre sintetiche. In principio il nylon delle calze che ha creato nuove trame per le donne. Poi i tessuti tecnici di oggi, buoni per tutti i climi e tutte le stagioni. Fino alle tute spaziali di neoprene, goretex, teflon, dacron. Che hanno vestito la scimmia nuda per lo storico appuntamento con il cosmo. Per far vedere all’universo di che panni veste l’uomo.