La Stampa, 24 novembre 2019
Lego, addio al petrolio
I numeri parlano chiaro, con 60 miliardi di mattoncini prodotti ogni anno Lego è un marchio leader nell’industria dei giocattoli. Grazie a un mix di innovazione e marketing, il colosso danese è riuscito a resistere all’avvento dell’intrattenimento digitale, ma da qualche tempo a questa parte si trova a dover affrontare una nuova sfida, vale a dire quella di produrre mattoncini senza utilizzare derivati del petrolio.
Attualmente i pezzi della Lego vengono realizzati con ABS (acrilonitrile-butadiene-stirene), un derivato del petrolio che i dirigenti di Billund vorrebbero sostituire con le bioplastiche. Elemento essenziale affinché questa riconversione avvenga con successo è la durabilità dei pezzi, la possibilità, cioè, che i mattoncini possano essere tramandati di generazione in generazione.
Gli investimenti
A partire dal 2012, Lego ha stanziato 150 milioni in ricerca e sviluppo per provare a sostituire l’ABS con le bioplastiche entro il 2030. In questi sette anni di studi ed esperimenti i problemi non sono mancati: refrattari all’assorbimento del colore i mattoncini prodotti dal grano, troppo morbidi quelli ottenuti dal mais, fragili o inadatti all’incastro quelli ottenuti da altre materie prime «bio». Un bel rebus per il colosso danese che – ben prima del boom dei movimenti e delle politiche plastic free – si è posto un dilemma morale: come possiamo educare le nuove generazioni a costruire il mondo se contribuiamo a immettere nell’ambiente materiali non biodegradabili?
Dal 2018 Lego utilizza un bio-polietilene a base di canna da zucchero per una gamma di elementi quali foglie, cespugli e alberi, ma questi componenti rappresentano una quota dell’1-2% sul totale della produzione. Ma i materiali prodotti senza l’utilizzo di derivati del petrolio sono davvero bio?
Sebbene le plastiche ottenute da mais, grano, canna da zucchero, scarti alimentari e fecola di patate rappresentino un’alternativa maggiormente sostenibile all’utilizzo delle fonti fossili, non sempre la loro coltivazione riesce a contenere l’impatto ambientale. Per questa ragione i puristi preferiscono utilizzare il termine «polimeri a base biologica» invece di bioplastiche. La sfida più ambiziosa del prossimo decennio sarà, quindi, quella di trovare il giusto equilibrio fra una coltivazione ecologicamente sostenibile e la realizzazione di materiali simili, per caratteristiche, durabilità e robustezza, a quelli utilizzati dalla seconda metà del Novecento a oggi.
I pregi della canapa
La coltivazione che sembra essere in grado di dare le maggiori garanzie a fronte di un minore impatto ambientale è la canapa. Questa pianta, infatti, cresce molto rapidamente, è molto prolifica, occupa meno spazio rispetto alle colture tradizionali, è biodegradabile, non è tossica e non richiede l’utilizzo di pesticidi. Altro punto di forza della bioplastica derivante dalla canapa è la sua resistenza, tanto che già nel 1941 Henry Ford realizzò un prototipo di automobile con una carrozzeria realizzata al 70% con materiale derivato dalla canapa.
Oltre a essere biodegradabile ed estremamente redditizia, la coltivazione della canapa fornisce benefici all’ambiente anche in fase di crescita: grazie a un processo di fitorisanamento, può rimuovere dal suolo tossine e contaminanti, quali metalli, solventi e idrocarburi poliaromatici, creando terreni più sani e più fertili. Dulcis in fundo, i campi di canapa richiedono molta meno acqua e stoccano maggiori quantitativi di CO2 rispetto ad altre coltivazioni utilizzate per la produzione di bioplastiche.
C’è poi un altro fronte aperto nella rivoluzione ecologica di Lego, quello rappresentato dagli imballaggi. Attualmente la maggior parte del packaging è a base di cartone o di carta riciclabile, provenienti da fonti sostenibili certificate dal Forest Stewardship Council, ma la multinazionale danese vuole riuscire a produrre, entro il 2025, imballaggi che non finiscano in discarica e siano totalmente riciclabili.
Da settant’anni punto di riferimento nel settore dei giocattoli, Lego vuole diventare un esempio anche per la capacità di ripensare il proprio business in termini di sostenibilità e di adattarsi a un mercato sempre più consapevole in fatto di scelte d’acquisto.