La Stampa, 24 novembre 2019
Così affondano le città costiere italiane
Mentre le telecamere di tutto il mondo raccontavano la Venezia allagata, a Trieste servivano gli stivali per entrare in Municipio, a Muggia i bottegai sistemavano sacchi di sabbia nelle calli per difendersi dalla marea, e lo stesso accadeva a Grado, dove l’acqua entrava nelle case passando dalle fognature. A Chioggia un guasto ha messo fuori uso le sirene di allerta, ma bastava guardare fuori dalle finestre per rendersi conto dell’emergenza. Per non parlare dell’isola di Pellestrina che, dopo l’ondata, ha dovuto attendere cinque giorni per veder riaprire l’unico supermercato. Non è andata meglio a Goro e Gorino, poco più a sud, dove il mare ha superato la banchina, abbattuto le barriere di protezione, cancellato spiagge e causato danni che restano da quantificare.
Insomma, di Venezia ce n’è una sola, ma quando si parla di acqua alta il disagio diventa una questione per molti. Anzi, per troppi. E il dramma è che le zone a rischio allagamento nel Belpaese sono destinate ad aumentare con previsioni drammatiche. Lo dicono tutti gli studi, a partire da quello realizzato dall’Enea, secondo cui entro il 2100 l’acqua dei mari sarà soggetta a un innalzamento di almeno un metro, rischiando così di sommergere 40 aree costiere in tutta Italia, comprese coltivazioni, strade, ferrovie, aree abitate e industriali. Più di cinquemila chilometri quadrati, una superficie paragonabile a quella della Liguria. L’osservato speciale è il bacino a Nord dell’Adriatico (da Monfalcone a Ravenna), ma nessuna zona d’Italia può ritenersi al sicuro. A forte rischio ci sono la Versilia, la piana di Gioia Tauro, quella Pontina, l’Oristanese e, tra le altre cose, ben 21 porti italiani.
Il parere dell’esperto
«Le proiezioni di aumento del livello del mare si basano su dati globali dell’Ipcc, ma mancano i dettagli regionali - spiega il climatologo e oceanografo dell’Enea Gianmaria Sannino -. Per colmare questa lacuna stiamo realizzando un modello unico al mondo che combina diversi fattori». La difficoltà è simulare il comportamento del Mediterraneo, che per conformità rappresenta un caso unico al mondo. «Assomiglia più a un lago che a un mare, e viene alimentato dall’Oceano attraverso Gibilterra». Questo travaso di acque avviene anche perché l’Atlantico è più alto di 20 centimetri. Proprio lo Stretto, con i suoi 300 metri di profondità e 13 chilometri di larghezza, è diventato il fulcro degli studi per affinare le proiezioni. Il tempo a disposizione è poco, lo dicono i numeri: entro il 2050 circa 300 milioni di persone che vivono in aree costiere saranno sommerse almeno una volta l’anno, dice Climate Central. Guardando all’Italia tra il 2014 e il 2018, solo le inondazioni hanno causato 68 morti (dato Legambiente), e gli effetti si annunciano devastanti. Ad alto rischio, per esempio, c’è una città come Rovigo che oggi si trova a 35 chilometri dalla costa.
Lo screening dei mari
La causa dell’innalzamento dei mari è la conseguenza di più fattori, almeno quattro. In primis lo scioglimento dei ghiacciai dovuto al surriscaldamento globale (3,6 millimetri l’anno secondo l’Ipcc dell’Onu). Poi, l’espansione degli oceani per effetto dell’aumento delle temperature. Quindi, l’intensificarsi di fenomeni meteorologici estremi, come le maree. E infine i movimenti tettonici tipici di territori, come l’Italia, geologicamente attivi. Questi ultimi sono indipendenti dall’azione dell’uomo; quindi è chiaro che l’unica cosa da fare per cercare di mettere un freno a questa deriva sia agire sulla riduzione di CO2, che è la principale causa dell’innalzamento delle temperature. Ma il mare una volta occupava la pianura padana, ripetono scettici e negazionisti. «Livelli simili di anidride carbonica sono spaventosi e non hanno precedenti nella storia - precisa il geomorfologo Fabrizio Antonioli - , nemmeno in ere geologiche precedenti». Quindi è vero che le variazioni del clima ci sono sempre state, ma oggi a provocarle è l’uomo. «Non ci sono dubbi che la colpa sia nostra» conclude Antonioli. Se vogliamo evitare di finire sott’acqua dobbiamo partire da qui.