Robinson, 24 novembre 2019
Nella camera di Pier Vittorio Tondelli
La prima cosa è la scrivania: bianca, semplice, di legno fragile, tre cassetti e una serratura per bloccarli, con la chiave inserita nel primo. Sopra: un piccolo computer Macintosh Plus, in cui la mela aveva ancora i colori dell’arcobaleno, un cubo preistorico affiancato a un oscuro marchingegno della stessa marca, contraddistinto dalla scritta Image Writer II e una custodia in vilpelle coperta da adesivi che sono madeleine di un’epoca: i classici Levi Strauss & co, Marlboro Mac Laren, Coca Cola e il più evocativo jeans Manuel Ritz Rirò su fondo blu a stelle e strisce come la bandiera americana. Si chiamavano “patacchi” a quel tempo e si collezionavano staccandoli da auto e motorini o si chiedevano ai negozianti. Manuel stava in piazza Minghetti a Bologna, sul lato opposto a una banca, in mezzo c’era un giardino con panchine in cui andavamo a leggere i primi grandi, perché così ci sembrarono e così restano, libri della nostra vita. Deve aver percorso lo stesso tragitto Pier Vittorio Tondelli, nato a Correggio e qui morto nel 1991. Sono tornate qui anche la sua scrivania, i suoi libri, i suoi appunti, il tema di maturità, i progetti per film o programmi televisivi, i disegni, le tracce scritte che un’esistenza lascia se lo vuole o se qualcun altro le segue, conserva, dispone con affetto, ammirazione e sensibilità su quel tavolo anatomico che è il futuro da cui ci saremo assentati con un cenno di scuse, una parola di meno, tutta la vita alle spalle.La camera separata di Pier Vittorio Tondelli è stata ricreata nella biblioteca di Correggio, la stessa in cui si era presentato da ragazzino per chiedere il suo primo libro in prestito: Le tigri di Mompracem e fuggire dalla nebbia emiliana alla Malesia scoprendo che ogni viaggio era alla portata: bastava una pagina. Le biblioteche di provincia sono fortini, difendono la condivisione originaria: quella del sapere e del piacere di poterlo fare. Allineano mondi possibili, mettendoli a richiesta. I libri di Pier Vittorio Tondelli, riposti sugli scaffali nello stesso ordine scelto da lui, sono 2558. I documenti che lo riguardano sono circa 12 mila. Le tesi di laurea sulla sua opera oltre 80. Tutti raccolti con l’orgoglio della famiglia, la dedizione del curatore Fulvio Panzeri, lo scrupolo del personale della biblioteca. Provengono dalla casa dei genitori o, dopo un passaggio per Bologna, dall’abitazione milanese, in via Abbadesse. Un lungo giro, come ha fatto lui, per tornare da dove si era partiti. Riposano dietro ante con le grate o armadietti chiusi. Guardarli è confrontarsi con una vita, non quella fatta di azioni, l’altra: pensieri, fantasie, relazioni. Nell’illusione che soltanto la prima sia finita. Continuano a testimoniare, i suoi libri: con i titoli, le dediche, le annotazioni, le estensioni. Partendo dallo scaffale più basso, il cosiddetto anno zero, la formazione elementare, la base, la lingua, i dizionari, trasportati di casa in casa, perché le parole non sono mai cercate abbastanza e nel caso si rimanesse senza o incerti sul significato da dare alle cose. Conterà qualcosa l’accostamento? Chiunque possieda volumi e scaffali se ne fa un cruccio: ordine alfabetico, per argomento, per assonanza cromatica, mi raccomando i tomi di quell’editore, tutti insieme appassionatamente. Tondelli andava per temi: le religioni, l’arte, la filosofia, la questione omosessuale. Poi, a sorpresa, la cucina: Millericette, Suor Germana, Sessanta piatti cinesi e, perfino, Il libro del pompelmo. La narrativa, divisa per provenienza geografica: italiana (Sciascia, Flaiano, Testori, ma anche Piero Chiara e Fruttero & Lucentini e i cantascrittori Claudio Lolli e Gianfranco Manfredi), americana (Bukowski e Truman Capote, tra cui s’infiltra, come una spia inglese, Le Carré), mitteleuropea (tutto Peter Handke, amato e più volte recensito, tutto Milan Kundera). Unica eccezione: i Meridiani Mondadori, inseparabili a prescindere. Chiunque abbia provato a dividerli poi è tornato indietro, come avesse sentito un richiamo. Ci sono assonanze composte invece dalla sua mente: Busi è vicino a Pasolini e, meno prevedibilmente, Bassani a Manganelli. Sono libri letti, riletti, vissuti. Bisogna rifuggire dalla malinconia per quelli intatti. Ci sono rinvii che hanno lasciato incompiuta l’arte di leggere, ma tra gli intonsi i più sono omaggi degli uffici stampa, ospiti senza invito rimasti in anticamera. Spesso appare una dedica. Sotto il titolo Cos’è più la virtù ( Romanzo quasi d’amore) Fernanda Pivano gli scrive: «A Pier Vittorio Tondelli il più bravo e il più caro di tutti». Sotto la firma, il disegno di un fiore. Umberto Eco accompagna in questo modo Il pendolo di Foucault: «A Pier Vittorio che così impara dove si va a finire se non si smette di fare semiologia (come gli avevo detto)».Sottolineare le pagine non era per Tondelli un tabù. Ecco allora che risfogliando le Lezioni americane di Italo Calvino si trova in evidenza: «la letteratura come funzione esistenziale, la ricerca della leggerezza come reazione al peso di vivere». Oppure, più avanti: «Perché il miracolo di Leopardi è stato di togliere al linguaggio ogni peso fino a farlo assomigliare alla luce lunare». Un piccolo manifesto, un intento sia autoriale che esistenziale, sintetizzato da un’altra sottolineatura: «La leggerezza della pensosità». Qualche annotazione nelle pagine bianche, all’inizio, per poter poi ritrovare le perle sul percorso compiuto: in Cronache Epafaniche di Francesco Guccini «c’è una bellissima frase a pagina 70». Nei libri dell’amato Carlo Coccioli ci sono due anime «una sensitiva e l’altra spirituale» e, soprattutto, c’è un’affermazione che non è soltanto evidenziata, ma fatta propria, come uno specchio trovato nel fondo di una cantina, questa: «Sono un segreto tra dio e me». A volte dalle pagine escono fogli. Da un libro su Andy Warhol un “santino” con la riproduzione del suo manifesto funebre e di quello della mostra fotografica ( Out of the sixties) di Dennis Hopper nella galleria di Tony Shafrazi a New York. Era già epoca post- moderna, stava per cominciare il lungo weekend. Tra i libri a sorpresa c’è una Storia dello Zecchino d’oro. Lo spiegano i fogli inseriti all’interno, riguardanti due progetti per programmi televisivi. Il primo si sarebbe intitolato Viva viva lo Zecchin ed è un curioso mix tra il nazionalpopolare e il colto: ricerca dei bambini che cantarono i motivetti più conosciuti, esecuzione degli stessi da parte di personaggi famosi, excursus storico sulla funzione dei minori nello spettacolo. Anche il secondo progetto televisivo riguarda i più giovani e Bologna, ma al posto della musica c’è il basket, la grande passione cittadina. La struttura era in anticipo sui tempi: seguire nella settimana che precede il derby quattro ragazzi appassionati, mentre studiano, giocano, chiacchierano e chiudere mentre stanno entrando al palazzetto per assistere alla sfida. Fa tenerezza leggere in calce il numero di telefono al quale avrà atteso invano la chiamata del capostruttura Rai intenzionato a dar vita a quelle idee. È la stessa sensazione che si prova prendendo in mano il numero 5 del periodico degli “aspiranti di Correggio”, Noi e gli altri, speciale campeggio in Val Badia, nel cui tamburino di redazione Pier Vittorio Tondelli figura come “disegnatore”. O il tema di maturità ( minuta e bella copia) dove, dimostrando la sua passione del tempo scelse la traccia “L’arte figurativa nell’età romantica”, preferendola a quelle sul Manzoni o sulla “partecipazione come parola che domina le attese a livello sociale e politico”. La calligrafia è un continuum ondoso: «La grande stagione dell’arte romantica nasce dal dissolversi delle estetiche neoclassiche». Tutto, gli intenti, la gioventù, le passioni, l’impegno si dissolve nella memoria difensiva all’accusa di oscenità per Altri libertini trascritta dal fratello Giulio: «L’unico fine, posto che l’arte abbia un fine moderatamente intellegibile, quello di produrre una rappresentazione linguistica di una realtà giovanile, filtrata naturalmente dalla mia sensibilità, dalle mie storie, dai miei precedenti studi». Ovvero, genealogia di un autore: questa terra, queste vicende, questi testi, questo immaginario sospeso tra strade di provincia e mondi lontani. Qui mancano inevitabilmente i libri che avrebbe letto, quelli che avrebbe scritto, le pagine per portare a compimento la raccolta di Sante Messe, le risposte mai spedite ai suoi Biglietti per gli amici: «Grazie per non poter essere dimenticato».