la Repubblica, 24 novembre 2019
Il Meridiano su Fruttero & Lucentini
L’ultimo romanzo di Carlo Fruttero e di Franco Lucentini – per certi versi, il più vero; per altri, il più fantasioso – non l’hanno scritto loro. Non poteva che uscire postumo. Chi vuole può certo immaginare che l’abbiano ordito in qualche circonvoluzione metafisica della loro intelligenza duale, quel mutuo cloud telepatico a cui ciascuno dei due devolveva spunti e mozziconi di idee e parole, energie progettuali e acribia esecutiva. Ma poi a come farlo precipitare su carta (tremila e più pagine) ci ha cortesemente pensato qualcun altro.
Decidendo di firmarsi Fruttero & Lucentini, i due si erano consegnati sin dal remoto 1971 a un futuro di frecciate sul carattere commerciale della congiunzione. Il messaggio era chiaro e consapevole: sì, chiamateci pure “ditta”, anzi, guardate, siamo noi a chiamarci così per voi. La tipica autoironia con cui si presentavano al mondo (e se ne riparavano) era infatti tale da colpire soprattutto gli altri. In quel 1971 erano passati peraltro dieci anni tondi da quando si erano licenziati uno dopo l’altro dalla rocciosa, egemonica ma anche prestigiosissima Einaudi dell’epoca, per darsi all’esercizio autonomo della professione editoriale: antologie, traduzioni, curatele, collane. Molto impegnati lo erano, ma non nel senso dell’engagement politico. Casomai nel senso opposto.
La fondazione della ditta, la creazione del marchio e la messa in commercio dei primi prodotti ( L’idraulico non verrà, poesie, Mario Spagnol editore, 1971; La donna della domenica, romanzo, Mondadori, 1972) è certamente uno dei principali capitoli della storia di F.&L.. Ricostruire altri capitoli meno noti è però possibile poiché F.&L. nel tempo sono stati generosissimi di autocommenti e autofiction, tutte occasioni per l’autoironia di cui sopra. È qui che intervengono le cure di Domenico Scarpa, ricercatore letterario e specialista del secondo Novecento, dei cui archivi è insaziabile assimilatore. Dai due distinti di F. e di L. nonché da altri archivi editoriali, biblioteche e emeroteche Scarpa ha ricavato il materiale su cui costruire il “Romanzo” di F.&L.: quello cioè di cui F.&L. sono stati innanzitutto protagonisti e solo in parte autori. È contenuto nei due volumi che ora escono per i Meridiani Mondadori, progettati e curati da Scarpa e intitolati alle Opere di bottega di Fruttero & Lucentini.
Ci sono i libri di F.&L. in una selezione generosa che comprende i loro cinque romanzi canonici e altri testi, alcuni a firma singola di uno dei due. Ci sono gli apparati firmati da Scarpa: vasto saggio introduttivo, vasta cronologia delle vite degli autori, minuziose notizie su ogni testo raccolto, bibliografie. C’è in più una sezione intitolata Backstage che accompagna ogni testo con commenti o spiegazioni di pugno degli stessi autori. Il racconto lungo del solo Lucentini Notizie degli scavi è per esempio preceduto da trenta pagine scritte da Fruttero a proposito dell’amico: un “Ritratto dell’artista come anima bella” che è un gran tributo all’amicizia letteraria. Dall’insieme di questo “Romanzo” collazionato e cucito da Scarpa si scopre tra l’altro quanto i due fossero diversi. F., piemontese ma più estroverso, facondo, istintivo; L., romano ma più introverso, laconico, progettuale. E quante F iniziali, nell’elenco dei loro generi preferiti e frequentati! Fantascienza, Fantasmi, Fumetti, Fotoromanzi, Filastrocche, Feuilleton (mancano i gialli, ma si può rimediare con Fattacci); tra gli autori: Fantomas e Flaubert. Alla L di Lucentini invece apparterrebbero Lingua, Letteratura, Luoghi (comuni). Sarebbe del tutto sbagliato prendere però questa cabala alfabetica come realmente rappresentativa di una polarità fra i due capilettera. I due si scambiano di posto e appena si pensa di aver stabilito che il “più letterato” dei due sia L. ci si deve ricordare che a tradurre e frequentare Beckett era stato F.
Tutti, da sempre, a chiedersi come potessero scrivere assieme. Come unica risposta loro narravano la storia della loro prima collaborazione. Era il 1958, si conoscevano già, ma non così bene. Preparavano un’antologia di fantascienza. Dallo stesso migliaio di racconti ognuno ne indicò i 50 per lui migliori. Quarantaquattro scelte coincisero. Ecco perché potevano scrivere: perché leggevano nello stesso modo, all’88 per cento. Sia F. sia L. avevano alle spalle un’acculturazione conseguita con tignosa passione, su base volontaria, senza accademismi. Scoprirono poi di aver entrambi, da ventenni, percorso l’Europa, seguendo chimere culturali e sentimentali.
In un’autofiction promozionale per La donna della domenica un Perry Mason doppiamente immaginario chiede: «Non è quello che si direbbe un divertissement?"». Il fittizio Lucentini risponde: «No, sembra che la gente ci si diverta sul serio». La battuta la dice lunga anche a chi non si accorga che è un lapsus: il divertissement della domanda sarebbe infatti quello degli autori, ma loro lo ribaltavano nel proprio orgoglio di saper divertire i lettori.
Nel “Romanzo” le opere di bottega raccolte da Scarpa, quelle celebri ( come La donna della domenica, A che punto è la notte, L’amante senza fissa dimora) e quelle meno note (come La morte di Cicerone o lo struggente poemetto postumo di F., La linea di minor resistenza) sono come ricchissime figure che illustrano i temi ricorrenti nella narrazione. Questi sono: la lettura come piacere; la scrittura come fatto tecnico (l’insulto peggiore che L. riservava a colleghi o in genere artisti disistimati era: «non sa fare»); la pratica professionale come elaborazione di pezzi unici, cioè per nulla seriali o “industriali”. Trame, dialoghi ritmati e realistici, ammirazione confidenziale per i classici, mai un granello di polvere in giro.
Rimasto solo, F. parla con struggente asciuttezza del compagno perduto. Racconta che prima tutti chiedevano «Come fate a scrivere in due?». Da quando L. non c’è stato più la domanda era cambiata: «Come hai fatto a scrivere da solo?». A pensarci, è segno che il “Romanzo” di Fruttero & Lucentini ha funzionato. Anzi, guardate, è già un successo.