la Repubblica, 24 novembre 2019
Biografia di Mattia Santori (uno delle sardine)
«Avrei bisogno di staccare un giorno e andare a pranzo dai genitori della mia fidanzata, ma proprio non ci riesco» sorride Mattia Santori, il ragazzo di 32 anni, sconosciuto fino a dieci giorni fa, diventato in un lampo la bandiera delle sardine d’Italia e di un pezzo di mondo. Quel giovedì sera in una piazza Maggiore strapiena il grido “Grazie Bologna” che ha guastato la festa di Salvini al Paladozza lo ha catapultato sulle prime pagine dei giornali, nei salotti televisivi, sotto i riflettori della politica. Un bel salto per il “cinno” (così i bambini si chiamano sé stessi sotto le Due Torri) cresciuto in parrocchia, all’ombra dello stadio Dall’Ara, che a 15 anni portava le pizze nelle case per guadagnarsi qualche soldo e che in piazza pensava «soltanto di dare una mano» per fermare i sovranisti in Emilia.Un successo che farebbe montare la testa a tanti, e venire le vertigini a chiunque. E a lui? Forse, un pizzico di vanità. «Se fa piacere? Be’ dopo aver ascoltato per una vita Santanché e Sallusti in televisione, poter dire a tanta gente quello che pensi non è male. E lo stesso portare a L’Aria che tira una ragazza di quinta superiore e un ventenne appassionato di politica», confessa con quell’accento da bravo ragazzo che ti fa venire in mente i tortellini. Poi cambia tono: «Io però sono solo una delle sardine. E se faccio tutto questo, che a volte ha un sapore un po’ triste e banale, è perché serve qualcuno che racconti il nostro messaggio, un volto che in qualche modo garantisca il marchio». Già, perché ormai Santori non è più soltanto uno dei quattro amici al bar che hanno complicato l’avanzata leghista nella regione rossa, portando in piazza un popolo che né il Pd, né i Cinque Stelle sanno più mobilitare. Per mezza Italia è diventato lui l’anti- Salvini. E proprio per questo è la sardina più ricercata dal capo della Lega con tutti i suoi gattini e i suoi pinguini che non vedono l’ora di farne un boccone.
Quella di Mattia, però, non è la favola di un cenerentolo divenuto principe in un istante. È una storia che si confonde con il percorso di una generazione. L’avventura dei trentenni flessibili della società liquida, che non potendo contare su una carriera certa devono inventarsi mille lavoretti anche nella terra dove tutto, dall’oratorio all’università, dallo sport alle grandi imprese, prova a parlare ancora di coesione sociale e di gioco di squadra. Lui dopo le pizze che gli permettevano di pagarsi la cena e la coca, è stato babysitter, volontario nei centri estivi per studenti, casellante. Ha raccolto la frutta nei mesi caldi. Fa l’allenatore di basket e atletica per bambini. E ha un contratto, 24 ore a settimana, nella società del professore ed ex ministro Alberto Clô che si occupa di energia e di mercati. Una fatica? «Sono pragmatico e mi piace lavorare, così come mi piace la vita – questo si dice la mattina davanti allo specchio – La prima cosa che ho imparato dai miei genitori è che questo vale più dei soldi. E la seconda è che in famiglia quello che ha uno devono averlo tutti».
Della generazione Erasmus, invece, ha preso la voglia di viaggiare e di essere indipendente. Un mondo di libertà scoperto alla scuola alberghiera («Per me una scuola di vita») a 17 anni da stagista in Sardegna. È allora che decide di vivere solo. Da studente di scienze politiche e poi economia, va in Francia, in Grecia, in Sudamerica. Che tormento tornare a casa, con i genitori e le due sorelle, amatissimi tutti quanti, ma amati ancora di più quando non si vive sotto lo stesso tetto. Dura due mesi e poi di nuovo fuori, da indipendente, con la sua ragazza.Vita complicata, ma ricca: economista al mattino, in palestra con i bambini e i ragazzi disabili il pomeriggio, allenatore della squadra femminile di frisbee che ha vinto la Champions, ogni estate organizza un evento assai seguito, un torneo di basket per ragazzi in carrozzina, per ricordare un caro amico disabile, amatissimo in città. E la politica? Cos’era la politica prima delle sardine? «Mi interessa capire e approfondire, per combattere l’ingiustizia. Non sopporto la violenza e la falsità del messaggio dei populisti». Di sinistra, come quelli che cantano Bella Ciao? Ha ragione chi dice che dietro il movimento ci sono il Pd e Prodi? «In realtà non tutti la cantano e sento sensibilità diverse, ci sono moderati, persone tranquille convinte, come me, che è ora di fare qualcosa. E Prodi, che qui tutti conoscono, io non l’ho mai incontrato». Le sardine, si sa, le hanno pensate in quattro, ma il marchio – racconta – lo ha disegnato un quinto. Lo slogan “Bologna non abbocca” lo ha proposto una ragazza fuori dal team. Idem il manifesto. «Oggi siamo in venti, ma non riusciamo a seguire tutto. Ogni giorno riceviamo centinaia di proposte stupende, una più creativa dell’altra».
E adesso? Che succederà alle sardine dopo il voto di gennaio in Emilia? Faranno la fine dei No global dopo Genova, si disperderanno come i tre milioni di Cofferati al Circo Massimo, diventeranno un partito, o qualcosa di simile ai ragazzi di Greta Thunberg? «Siamo dentro un presente travolgente – dice Mattia mentre scorre i 250 messaggi non letti su whatsapp, con la fretta di correre a Reggio Emilia dove lo aspettano in seimila – non abbiamo ancora trovato un attimo per pensare al futuro. Su una cosa scommetto: nel movimento c’è un’energia crescente e ci sono gli anticorpi alla violenza e alle provocazioni. Presto dovremo creare un coordinamento delle sardine di tutte le città. Adesso, però, quello che conta è che ognuno riempia prima la sua piazza ».