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 2019  novembre 24 Domenica calendario

Gli abiti coordinati dei leader Verdi

Ci sono quarant’anni di storia tedesca racchiusi in questa immagine. La foto è stata scattata al Congresso dei Verdi, conclusosi domenica scorsa a Bielefeld, nel Nord Reno-Vestfalia. I personaggi immortalati sono i tre leader attuali dei Gruenen. A sinistra è la co-presidente Annalena Baerbock, 38 anni, rieletta col 97,1% dei voti, una percentuale mai vista in un partito tradizionalmente appassionato e litigioso come quello ambientalista. Al centro c’è Katrin Goering-Eckardt, 53 anni, capogruppo dei deputati verdi al Bundestag e anello di collegamento tra la generazione dei fondatori e quella adesso alla guida. Completa il terzetto l’altro co-presidente, Robert Habeck, 50 anni, riconfermato dal 90,4% dei delegati, beniamino dei sondaggi nazionali soprattutto fra il pubblico femminile, probabile (ma non certo) prossimo candidato alla cancelleria.
Ma il dettaglio da osservare sono i colori dell’abbigliamento e il loro ordine: Baerbock è in giallo, Goering-Eckardt in rosso, Habeck in nero. Sono quelli della bandiera tedesca. Anche se non viene ammesso ufficialmente, la foto è stata pensata a tavolino, il suo simbolismo è voluto. Così come voluto è quello della foresta verde alle loro spalle, nella quale i tre fanno la loro passeggiata virtuale.
È un messaggio di forte suggestione. Tanto più se si considera un altro particolare: proprio a Bielefeld, su quello stesso palco, esattamente vent’anni fa, l’allora ministro degli Esteri Joschka Fischer venne colpito in faccia da una latta di vernice rossa, che gli spaccò il timpano e gli macchiò il vestito trasformandolo in una specie di reliquia, oggi esposta al Museo della Storia tedesca a Bonn. Con l’argomento «mai più Auschwitz», Fischer aveva appena difeso la partecipazione della Bundeswehr all’intervento umanitario della Nato in Kosovo, prima azione di guerra della Germania dal 1945. Il partito aveva approvato la missione militare, ma si era spaccato e i pacifisti duri e puri non perdonavano Joschka.
Due decenni dopo, i Gruenen sono pacificati con se stessi. Hanno eletto al loro vertice due leader entrambi pragmatici, rispettando la parità di genere, ma spezzando la regola paralizzante che voleva sempre in sella un esponente dell’ala realista e una di quella fondamentalista o viceversa. Soprattutto, sono pronti a tornare al governo, questa volta non più in posizione subalterna.
È una rivoluzione copernicana. Mentre Angela Merkel si avvia al suo inevitabile «Goetterdaemmerung», il crepuscolo degli Dei, i Verdi, forti di sondaggi che li collocano oltre il 20% dei voti, si dichiarano «Bundnispartei», cioè partito capace di fare alleanze con chiunque, tranne l’estrema destra di AfD naturalmente, in nome del cambiamento nella stabilità. «Noi dobbiamo trasformare la speranza in realtà», ha detto Habeck nel suo discorso. Non più quindi nemici del sistema, come nel Dna delle origini, ma pienamente e consapevolmente dentro di esso: «Viviamo nella migliore e più libera Repubblica che ci sia mai stata in Germania, noi la difenderemo contro ogni tentativo fascista di spazzarla via, noi saremo i protettori della Costituzione».
A questo obiettivo, Baerbock e Habeck hanno chiesto e ottenuto dal partito di eliminare ogni residuo elemento di radicalismo nel programma. Perfino sul clima la posizione ufficiale dei Gruenen si vuole realista, con la proposta di una tassa di 40 dollari per tonnellata di CO2 fino al 2020 e di 60 dal 2021, mentre le frange estreme chiedevano 80 o anche 100 dollari per tonnellata. E anche sulla casa, uno dei temi che lacerano oggi la Germania dove aumentano vertiginosamente gli affitti e gli sfratti, i nuovi Verdi hanno respinto ogni soluzione radicale, come quella degli espropri dei grandi gruppi immobiliari proposta dai delegati di Berlino.
Detto altrimenti, la lunga marcia dei Gruenen dentro le istituzioni tedesche si è conclusa. La sfida alla cancelleria è lanciata. E nulla come questa foto riassume meglio la loro ambizione di diventare il nuovo Staatspartei, il partito dello Stato. Che poi riescano o meno, è un’altra storia.