il Fatto Quotidiano, 23 novembre 2019
Consigli al M5s e a Grillo
La foto di gruppo dei ministri giallorosa sorridenti e ridanciani a cena col premier Conte suscita, spontanea, una domanda: ma che avranno mai da ridere? Il governo è appeso a un filo: minacciato dalle Regionali in Emilia Romagna e Calabria; esposto al rischio di una qualunque buccia di banana, per via di una maggioranza rissosa e allo sbando; alle prese con una serie impressionante di crisi industriali (da Ilva ad Alitalia alle autostrade) e altri guai mostruosi non certo causati dal Conte 2, ma comunque da risolvere. Il centrodestra continua ad avanzare nei sondaggi, fino al 50% che – con quest’orrenda legge elettorale – regalerebbe a Salvini&C. ben più dei pieni poteri: cioè i due terzi dei seggi parlamentari, quanto basta non solo per eleggersi il presidente della Repubblica a propria immagine e somiglianza, ma anche per cambiare la Costituzione a proprio uso e consumo senza neppure il disturbo di consultare i cittadini nel referendum. E i giallo-rosa che fanno? Presentano 1700 emendamenti contro la propria legge di Bilancio, la migliore possibile nelle condizioni date. Litigano sulla blocca-prescrizione e sulla guerra agli evasori, due conquiste di civiltà ed equità che gli italiani onesti attendono da 25 anni.
Renzi si fa gli affaracci suoi (ieri, tanto per cambiare, era a Riad). Il Pd parla di “anima”, elezioni anticipate, Ius soli, abrogazione dei dl Sicurezza e altri metodi infallibili di suicidio. Il M5S organizza la propria eutanasia rinviando alle calende greche la riorganizzazione interna e gli Stati generali sul programma; mettendo ai voti, anziché metterci la faccia, la scelta politica di astenersi dalle Regionali in attesa di rialzarsi in piedi; e ora dilaniandosi pro o contro l’alleanza col Pd nelle regioni al voto. Tutti picconano il governo di cui fanno parte, che fra l’altro – l’ha detto in tutte le salse Mattarella – è l’ultimo della legislatura, anziché difenderlo, nutrirlo e tenerlo stretto. Poi vanno a cena e ridono a crepapelle, come i crocieristi che ballano e gozzovigliano sul Titanic lanciato a velocità supersonica verso l’iceberg. Fortuna che la vituperata società civile riesce ancora a produrre gli anticorpi per riempire il vuoto mentale e politico dei partiti. Mentre Salvini batte palmo a palmo l’Emilia e la Calabria per farne l’antipasto dell’ Italia, i cittadini si rimboccano le maniche, rubando tempo al lavoro e soldi al salvadanaio, e lo accolgono con le piazze piene. Più delle sue. Per dare una svegliata ai giallo-rosa, ove mai da quelle parti ci fosse vita. E per mostrare visivamente l’altra Italia. Un’Italia che se ne frega delle alchimie, delle bandierine e dei distinguo giallo-rosa.
E chiede unità contro il pericolo comune. Non un’unità fittizia, da photo opportunity. Ma su pochi valori che è persino inutile elencare, tanto sono evidenti: giustizia sociale, ambiente, legalità, equità, trasparenza, lavoro. Impossibile sbagliare: basta sentir parlare Salvini&C. e fare l’opposto. I 5Stelle e il Pd si interrogano ogni giorno sui nuovi programmi, obiettivi, piattaforme, costituenti, tavoli da varare. Come se ci volesse un pool di scienziati. E non si accorgono di avere già tutto nei rispettivi Dna. Basta smetterla di tradirli, ma realizzarli con coerenza e radicalità. Partendo dalla realtà. L’Emilia Romagna ha un’amministrazione funzionante: non è l’Umbria delle retate in giunta e della crisi industriale. Però ha enormi deficit trasportistici, ambientali, in parte sanitari. Siccome le Regionali del 26 gennaio saranno un ballottaggio fra Bonaccini e Salvini (che la Borgonzoni, molto saggiamente, manco la fa parlare), non c’è spazio per una terza opzione. I 5Stelle avrebbero dovuto astenersi, ma gli iscritti han deciso diversamente. Bene: partecipino. Ma, prima di decidere di correre da soli (verso il baratro), provino almeno a sottoporre al governatore Pd una serie di punti che invertano la rotta sull’ambiente, i trasporti, le infrastrutture e la sanità. E lo sfidi a sposarlo e ad affidarlo a gente indicata da loro. Se accetterà, avranno il merito di aver cambiato indirizzo alla regione ed evitato la spallata salviniana; se rifiuterà e perderà, se la sarà cercata, ma il M5S potrà dire di avercela messa tutta. In Calabria, e subito dopo in Campania, il Pd non ha candidati: i suoi governatori Oliverio e De Luca sono impresentabili persino per i dem, ma sono anche macchine da voti difficili da scaricare senza una spinta esterna. I 5Stelle possono trasformare i loro guai in opportunità, cogliendo l’occasione storica di cambiare le classi dirigenti del Sud. Cioè proponendo al Pd uomini nuovi e puliti, magari scelti fra i giovani che organizzano le piazze, affiancati da professionisti seri finora (non a caso) respinti dalla politica. Così, in Calabria e poi in Campania, i cittadini potrebbero trovarsi a scegliere per la prima volta fra due opzioni radicalmente diverse: da una parte i soliti dinosauri malavitosi passati dalla Dc a B. a Salvini; dall’altra facce nuove e pulite, sostenute da M5S, centrosinistra e movimenti (dai Balconi alle Sardine). Magari rivincerebbero i primi, chissà. Ma oggi in Calabria, con la lista Pd in concorrenza con la lista M5S e con la lista Oliverio, la vittoria delle destre è già certa. Tanto vale provare qualcosa di nuovo e unitario. E lì come in Emilia, la prima mossa spetta ai 5Stelle. Dopo il voto su Rousseau, correre a vuoto vagheggiando “terze vie” in attesa degli Stati generali di marzo ha poco senso. Il tempo stringe e richiede reazioni immediate: le liste vanno presentate entro 50 giorni e non si decidono a Roma nelle segrete stanze. Grillo ha la verve, la fantasia, l’energia e il seguito per organizzare due assemblee aperte a Bologna e Reggio Calabria coi grillini locali e le forze civiche emergenti. Se parte subito con Di Maio, Dibba, Fico e gli altri big, fa ancora in tempo a prendere l’ultimo treno.