Il Sole 24 Ore, 23 novembre 2019
Vent’anni fa la morte di Amintore Fanfani
Un “libro dei sogni”. Come ricorda Giorgio Ruffolo, fu proprio Amintore Fanfani nel 1964 a commentare così gli incerti sviluppi della “programmazione economica” su cui andava misurandosi l’alleanza tra Dc e Psi. A guidare il governo era Aldo Moro. Eppure due anni prima, con la “Nota aggiuntiva” alla Relazione generale sulla situazione economica del Paese predisposta da Ugo La Malfa, era stato proprio Fanfani a guidare il suo quarto governo verso una “politica di programma”.
In due anni era cambiato lo scenario, e a farne le spese (con l’avvento della “congiuntura”) fu proprio il modello di sviluppo a impronta marcatamente liberista ma con una forte presenza dello Stato che dai disastri del dopoguerra aveva consentito all’Italia di conquistarsi un posto tra le principali potenze industrializzate. Gli anni del “boom”, del “miracolo economico”, anni irripetibili, anni di grandi pulsioni e conflitti ma di innovazioni profonde. Fanfani poteva ascriversi il merito di aver preso parte attiva a quel processo e di aver posto il suo sigillo sull’articolo 1 della Costituzione, «Repubblica democratica fondata sul lavoro». Il ritmo di crescita dell’economia era stato del 6% nella media del decennio 1950-1960. Dal 1951 al 1958 la crescita media era stata del 5,8%. Nei quattro anni successivi del 7,2% con il picco dell’8,4% del 1961. Il miracolo, appunto, tassi di sviluppo mai più raggiunti, sospinti dagli investimenti e dai consumi, dall’export trainato dagli accordi commerciali che avevano fatto seguito alla nascita della Comunità economica europea, alla piena adesione al patto Atlantico e alla liberalizzazione dei mercati, da una forte presenza dello Stato (si pensi all’Iri e alla Cassa per il Mezzogiorno). Fanfani, da ministro del Lavoro del quarto governo De Gasperi aveva predisposto il Piano Casa-Ina, approvato dalla Camera nel febbraio del 1949. Programma imponente, con un orizzonte temporale di 14 anni, da finanziare attraverso un sistema misto che vedeva la partecipazione dello Stato, dei datori di lavoro e dei lavoratori dipendenti attraverso una mini-trattenuta mensile. A luglio, a Colleferro, si inaugurò il primo cantiere. Il 31 ottobre ne erano in funzione oltre 650, al ritmo di 2.800 vani a settimana destinati a 560 famiglie. Circa 20mila cantieri aperti fino al 1962, 40mila edili occupati ogni anno. Nel 1954, in contemporanea con l’elezione di Fanfani a segretario della Dc, decollava il piano di Ezio Vanoni, che dalle Finanze (dove aveva legato il suo nome alla riforma del fisco), era passato al Bilancio con l’ambizione di creare 4 milioni di nuovi posti di lavoro. L’altro fronte della strategia di politica economica di quegli anni si gioca sul versante delle infrastrutture. Nel maggio del 1956 prendono avvio i lavori dell’Autostrada del Sole tra Milano e Napoli. La prima auto a varcare il casello di Milano è una Fiat 1100. È Fanfani, da presidente del Consiglio a inaugurare il 3 dicembre 1960 il tratto appenninico della A1 insieme al ministro dei Lavori pubblici Benigno Zaccagnini. Due anni dopo sarà la volta della Roma-Napoli. Ed ecco i risultati di questa intensa stagione: a fronte di un incremento dei salari che tra il 1953 e il 1961 fu del 46,9%, la crescita media della produttività fu dell’84%. L’indice della produzione industriale che nella media del 1950 aveva raggiunto quota 119, nel 1956 si attestava a quota 212. Piano Casa, ma anche la riforma agraria, la politica del credito, l’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno. Nel 1963, al termine di un ciclo espansivo così elevato, il tasso di incremento della produzione pro-capite (5,6%) sarà secondo solo a quello tedesco. Sviluppo impetuoso certo, a danni del territorio con il boom scomposto dell’edilizia e l’accentuarsi del divario Nord-Sud, ma anche boom dell’industria. È di quegli anni la decisione di mantenere integro il patrimonio industriale pubblico gestito dall’Iri, al pari della crescita dell’Eni di Enrico Mattei e dell’industria siderurgica dopo l’avvio nel 1953 del piano Sinigallia e la nascita nel 1961 della nuova Italsider, per finire con il boom dell’industria automobilistica. L’operazione di «allargamento dell’area democratica», come Aldo Moro definì l’apertura ai socialisti, culminò nel 1962 in un programma economico che prevedeva la nazionalizzazione dell’energia elettrica e la nascita dell’Enel.
Operazione controversa, apertamente osteggiata da Guido Carli che la definì «una ferita profonda ai mercati». E ancora, creazione dei governi regionali, istituzione della scuola media unica, riforma della pubblica amministrazione, graduale abolizione della mezzadria. Il tutto accompagnato da quella “Nota aggiuntiva” che si configura come una sorta di manifesto programmatico del centro-sinistra, con cui si provava a dare attuazione all’idea di sviluppo pianificato dell’economia maturato su pressione di personaggi del calibro di Riccardo Lombardi e Antonio Giolitti.
Dal “miracolo” ci si risvegliò in modo repentino, con la stretta creditizia del febbraio 1964, pari in intensità a quella decisa da Luigi Einaudi nell’estate del 1947. Era la fine di un’epoca che culminò con l’autunno caldo del 1969, l’impennata dell’inflazione degli anni Settanta e l’abnorme aumento del debito pubblico degli anni Ottanta.