Il Messaggero, 23 novembre 2019
Biografia di Toulouse Lautrec
Il 24 Novembre di 155 anni fa nacque ad Albi Henry Marie Raymond de Toulouse Lautrec-Monfa. La Natura gli concesse in lunghezza solo il nome, perché fu affetto da gravi malformazioni ossee, aggravate da incidenti e cadute: rimase deforme e con le gambe atrofizzate. Ma se fu un nano nel fisico fu un gigante nella pittura, e ancor oggi simboleggia la Parigi di fine Ottocento, con i suoi divertimenti pittoreschi e i suoi vizi proibiti. Viene generalmente, ma forse impropriamente inserito tra gli impressionisti, perché un abisso divide la sua tecnica, e la sua problematica, da Monet, da Pissarro e da Sisley. Ma questi sono solo dettagli tecnici. Ancor oggi al museo d’Orsay le file davanti ai suoi quadri sono inferiori solo a quelle per le tele di Van Gogh.
Albi era – ed è – una cittadina della profonda provincia francese, nota essenzialmente per la sua storia religiosa e per la cattedrale che, più che una chiesa, sembra un fortezza. I genitori del fanciullo erano nobili e benestanti, ma il padre eccentrico e la madre iperprotettiva non lo aiutarono nella sua sfortunata adolescenza, tormentata dalle malattie. Affrancatosi da questa gravosa tutela, Henry a 17 anni interruppe gli studi e si rifugiò a Parigi per dedicarsi interamente alla pittura. Frequentò ateliers classici,come quello di Bonnat, e autori naturalisti, come Cormon. Lavorò in collaborazione con Emile Bernard e incontrò Van Gogh. Ma come tutti i geni, ben presto si svincolò dai modelli altrui e ne creò uno proprio, che per soggetti e per stile costituisce un unicum nella storia dell’arte.
LE LITOGRAFIE
Invece di piazzarsi en plein air scrutando gli evanescenti paesaggi o cullandosi sui riflessi della luce, cominciò infatti a frequentare i luoghi che avrebbe immortalato nei suo dipinti, acquerelli, cartoni e litografie: il Moulin Rouge, il Circo, i caffè concerto, e soprattutto i bordelli. Da questa fauna umana trasse spunto per una analisi spietata del vizio, quando da voluttà segreta si trasforma in disgusto annoiato. Non intese dare un’immagine sociologica della sua epoca, ma si preoccupò di conferire durata a un momento fuggitivo, fosse il passo di danza di Jane Avril, lo sguardo inebetito di un avventore ubriaco, la cavalcata di una clownesse o, più frequente di tutti, il languido assopimento delle prostitute accasciate sui divani in attesa di clientela.
Intanto la malattia si aggravava, e dal corpo deforme si estendeva al cervello, scosso dalla nevrastenia e corroso dalla sifilide e dalle droghe. Di tanto in tanto Lautrec trovava conforto nel castello di famiglia, tra le cure premurose della madre, l’unica donna che dipinse con amorevolezza sospetta. Alternava soggiorni in case di cura con periodici ritorni a Parigi, dove si incanagliva tra la turbolenta moltitudine di Montmartre, luogo di piaceri fittizi e organizzati. La sua salute peggiorò, ma la sua arte ne trasse profitto. Sentendo la vita scivolargli di mano, ne volle cogliere il fascino dei momenti fuggitivi, osservando i suoi simili nei momenti più grotteschi di una decadenza umiliante: il libertino bavoso davanti alle procacità di ua ballerina; le abluzioni intime di una prostituta; il vecchiotto inebetito davanti al bicchiere di assenzio; e mille altre immagini dell’avidità e del cinismo umano. Logorato da tanta acidità, a 35 anni cominciò a dare segni di squilibrio, e fu ricoverato in ospedale a Neully. Continuò a dipingere anche durante le cure, ma ormai il suo fisico era irreversibilmente minato. Sentendosi vicino alla fine ritornò al suo castello e il 9 Settembre 1901, a 37 anni, morì tra le braccia della madre.
Come Mozart e Schubert, lasciò un numero di capolavori incredibile per una vita così breve. Il solo museo di Albi contiene più di cento suoi dipinti, e le più importanti pinacoteche mondiali se ne contendono i pochi ancora commerciabili, anche se occasionalmente sul retro di qualche cartone o tra le cianfrusaglie di un vide grenier qualcuno crede di ravvisare uno schizzo improvvisato da questo infaticabile disegnatore. Né le varie pubblicazioni rendono piena giustizia della sua opera fantasiosa, perché si limitano a riprodurre i quadri e i disegni più noti. Mentre, proprio ad Albi, si possono ammirare, senza nemmeno il tormentone dei turisti, dei capolavori trascurati dai cataloghi.
In effetti non dipinse solo le turpitudini di Montmartre. Ebbe momenti di commovente delicatezza e di serenità aristocratica, e seppe cogliere alcune sfumature dell’animo femminile ravvisabili solo (per quell’epoca) nelle novelle di Maupassant. La ricercata eleganza di Honorine Platzer, o la ridente luminosità dell’ Anglaise au bar (quest’ultima proprio ad Albi) dimostrano che né le sgangherate meretrici de la rue des Moulins né le bevande drogate né le notti insonni avevano potuto distruggere il suo senso della bellezza: di tanto in tanto, anche il cinico deforme, arrabbiato con la vita, sapeva affrancarsi dall’infame serraglio dei suoi vizi e trovare una straordinaria purezza di ispirazione.
LA MALATTIA
Uno dei maggiori critici d’arte, Pierre Cabanne, scrisse di lui che il traque le vrai: insegue il vero. È una definizione esatta, ma limitativa. Perché Lautrec vide la realtà attraverso la lente deformante della sua malattia e delle sue nevrosi, identificandola con le perversioni dei vecchi dissoluti, le malinconie delle prostitute in disarmo, l’avidità delle sfatte mezzane e le seduzioni di un mondo equivoco. Fortunatamente la realtà umana è ben più complessa delle miserie della Montmartre ottocentesca, e senza elevarsi all’olimpica solarità di Goethe, che vede nella Natura una compiuta armonia, non può nemmeno esser rappresentata dall’implacabile requisitoria che questo giovane infelice, proiettando sul mondo le sue deformità, espresse nei suoi disegni grotteschi.
E tuttavia comprendiamo le ragioni dei suoi sarcasmi. Gli mancarono quelle esperienze che mitigano le amarezze della vita, rendendo sopportabili, e talvolta anche piacevoli, molti giorni della nostra precaria esistenza, e non concepì verso i suoi simili quell’indulgenza benevola che dovrebbe fare di un artista anche un filosofo. Fu crudele con sé stesso, rappresentandosi peggio di com’era, e tradusse questa intolleranza nelle perfide immagini di tanti relitti umani. Eppure, anche in questo catalogo di fallimenti e di vizi, alla fine non possiamo trattenere un sorriso estatico davanti alla genialità dei suoi disegni e all’intuizione corrosiva dei caratteri scolpiti da un tratto di matita. E nei nostri momenti di buon umore, osservando quei nostri personaggi pubblici e politici che si pavoneggiano delle loro precarie fortune, troviamo sempre, con diabolica soddisfazione, i segni della mediocrità così ben derisa da Toulouse Lautrec.