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 2019  novembre 23 Sabato calendario

Su «Confidenza» di Domenico Starnone

Due sono le cose che, da giovani, non sappiamo: che fine faranno i segreti e che fine farà l’amore. Li crediamo entrambi brucianti ed eterni e, se del secondo impariamo presto la data di scadenza, per scoprire come il tempo agisce sui primi servirà una vita intera, solo l’ultimo giorno ci sarà rivelato se è valsa la pena portarseli dietro con il loro carico ricattatorio di tormento, paura e pesantezza. 
Confidenza, il nuovo libro di Domenico Starnone, è una storia dell’amore (non: la storia di un amore) e della vita nascosta degli esseri umani – non del suo contenuto, che varia per ciascuno, ma del modo in cui ciò che teniamo intimo orienta le scelte che facciamo, l’aspetto che indossiamo, la sensazione di falsità che reprimiamo. C’è sempre qualcosa di noi che abbiamo raccontato a una persona soltanto; c’è sempre, da qualche parte, pronto a entrare da una porta e a spuntare dal fondo di una sala, lo sguardo di una persona che ci fa sentire nudi, autentici e quindi falsati rispetto alla realtà dentro cui ci aggiriamo come impostori. Ma che importanza ha, al termine di un’esistenza, il segreto che ci siamo trascinati dietro con fatica e impegno, da cui ci siamo sentiti schiacciati, oppressi, minacciati?
Di certo, per parlare dei segreti dobbiamo parlare dell’amore. E dobbiamo parlare del desiderio, una parola di cui Starnone mostra la vistosa contraddittorietà (desiderio di amare per sempre e insieme di dimenticare una volta per tutte, di sciupare un sentimento facendo l’amore e insieme di preservarlo trattenendoci fino a non vivere, di spifferare un segreto per mettersi al sicuro e insieme di non lasciarlo trapelare per restare al sicuro). Ecco l’incipit: «L’amore, che dire, se ne parla tanto, ma non credo di aver usato spesso la parola, ho l’impressione, anzi, di non essermene servito mai, anche se ho amato, certo che ho amato, ho amato fino a perdere la testa e i sentimenti», così entriamo nella vita di Pietro, che ha trentatré anni quando comincia una storia con Teresa, che ne ha dieci di meno ed era una sua studentessa, una che sa aspettare, per poi mangiarsi il mondo. Pietro e Teresa si amano molto, litigano molto e logorano l’amore in pochi mesi; poco prima della fine, con l’intuito di riconoscere l’acme di un rapporto nel momento in cui inizia il suo esaurirsi, lei gli propone di confidarsi l’un l’altra qualcosa che non hanno mai svelato a nessuno. Due segreti terribili, di cui sappiamo solo che uno è pieno di tristezza per lei e uno pieno di vergogna per lui, vengono allora depositati in quel territorio impalpabile, quella zona di alterità, di ingannevole incontro che chiamiamo relazione. Quando la relazione finisce, dove finiscono i segreti? Dopo la storia con Teresa, Pietro incontra Nadia, una donna molto diversa dalla precedente, si innamora di nuovo e in un altro modo, è già un’altra vita, la corteggia, la convince a lasciare il fidanzato e a diventare sua moglie, avranno tre figli, lei lo tradirà («mi è così assolutamente indispensabile che, per poter restare con lui, ho dovuto tradirlo moltissime volte, secondo tutte le possibili accezioni del tradimento», così Nadia fornisce la migliore e più veritiera lezione sull’amore coniugale), lui non la tradirà neanche quando ritroverà Teresa e si accorgerà che con lei non è davvero finita, non potrà mai finire del tutto. 
Teresa, una donna rimasta libera e determinata, andrà a vivere in America, ma nessun oceano fra due terre è più vorace della terra che inghiotte le confidenze: per quelle che i due si sono fatti non c’è pace e non potrà esserci mai. Almeno non c’è per Pietro, perché gli uomini dei libri di Starnone sanno cos’è lo spavento e sanno cos’è la viltà («non è la pedagogia dell’affetto che ci migliora, ma la pedagogia dello spavento»). È anche per questa ragione che lo si ama: per l’eccezionale naturalezza con cui entra, con mai eccessiva ironia e senza traccia di autocompiacimento, nella fragile ricattabilità della vita dei maschi, sempre al confine con l’allucinosi, sempre a disagio nel ruolo di padri, mariti e figli, oltre che per una scrittura che ha ormai da tempo raggiunto una misuratezza profonda, la capacità di far convivere i dettagli più concreti e vividi con l’ossatura delle rivelazioni esistenziali. «Ho ripensato a quelle confidenze di tanti anni fa. Gli dirò, a fine giornata», dice a un tratto Teresa fra sé, «esperimento riuscito, la vita è finita, siamo al sicuro»: e dietro questa spavalderia c’è il mistero di cosa sia davvero irreparabile, e di ciò che di noi perdiamo nello sbriciolarsi di tutto dentro quella parola e i suoi castelli in aria. Lo scopriremo solo alla fine di questa storia a tre voci, bellissima e serrata, che si può definire così: un apologo malinconico e amorale sul ridicolo delle persone che siamo, sulla minacciosa inconsistenza delle ombre che temiamo.